Le cattive di Camila Sosa Villada: l’inno alla vita di Parco Sarmiento

Il bello della letteratura è che permette di giocare con la parola e con la rappresentazione del mondo che ci circonda. Questo vale per tutte le forme di narrazione esistenti al mondo. Gli spazi si possono contaminare, i generi si possono mescolare e scavalcare l’un l’altro dando vita a qualcosa di nuovo, unico e originale. Le cattive di Camila Sosa Villada ne è un esempio lampante. Una storia che potremmo dire affonda le sue radici nell’autofiction diventa qualcosa di più quando realismo e magia si intrecciano per donarle una dimensione tutta sua.

Le cattive, pubblicato in Italia da Sur nella traduzione di Giulia Zavagna, è l’esordio letterario di Villada, una delle voci più promettenti del panorama letterario argentino e che proprio con questo romanzo ha vinto il Premio Sor Juana de La Cruz 2020. Questa straordinaria autrice è anche attrice e cantante ed è stata addetta alle pulizie, venditrice ambulante e prostituta.

Nella sua opera Villada racconta di sé e della sua infanzia a Mina Clavero. Camila, che i genitori non accettano come trans, si trasferisce a Córdoba per studiare. Di giorno va all’università e sostiene gli sguardi eterosessuali dei suoi compagni e dei docenti, di notte si unisce alla sua vera famiglia, un gruppo di donne trans, come lei, che nella penombra del Parco Sarmiento si prostituiscono. María la Muta, Machi, Angie, Sandra, Natalí, sono amiche e compagne di strada. Ma la vera colonna portante di questa famiglia non convenzionale è Zia Encarna, la madre di tutte e a cui tutte dà rifugio nella sua pensione rosa trans, la pensione più frocia del mondo. Lì la Zia Encarna offre ospitalità e un luogo sicuro a chiunque ne abbia bisogno e cresce suo figlio, un bambino abbandonato nel parco che sceglie di chiamare Lo Splendore degli Occhi.

Così, la storia di Camila, raccontata tutta in prima persona, diventa la storia delle sue compagne. Ai suoi ricordi delle prime esperienze come donna, si intrecciano le vite delle donne di Parco Sarmiento. Le liti per i clienti, le feste nel cortile della pensione di Zia Encarna, le violenze da parte degli uomini e della polizia, la sorellanza che unisce tutte le donne trans, pronte a difendersi l’un l’altra con le unghie e con i denti. Momenti intensi che restituiscono la natura del romanzo di Villada: un inno alla vita.

L’autrice anima queste immagini di toni fantastici. Le cattive si potrebbe quasi considerare un romanzo fantastico. La lenta e graduale trasformazione di María in uccellino, la clausura forzata di Natalí, settimo figlio maschio della sua famiglia, l’età di Zia Encarna – centosettantotto anni –, tutti questi elementi, e molti altri ancora, suggeriscono che sia proprio così. Il reale, l’ordinario, fanno capolino nervosamente, come i clienti delle protagoniste, e proprio come loro abbandonano la scena e lasciano spazio al favoloso, all’irreale. Sembra di essere dentro a qualche favola antica o a qualche mito dei tempi che furono.

Ma al di là delle atmosfere, la storia delle donne di Parco Sarmiento è una storia tragica, triste e malinconica. Sono orfane, ripudiate dalle proprie famiglie di origine perché ai loro occhi sono creature mostre. Si nascondono nella penombra, perché la penombra cela quei tratti maschili che non gli appartengono, perché la penombra è bella e offre rifugio dai pericoli della notte, dalle violenze e dalle ripetute aggressioni, perché la penombra gli consente di esercitare l’arte della trasparenza.

Encarna diceva sempre: «Nella distribuzione dei doni, ogni trans riceve il potere della trasparenza e l’arte di abbagliare». Eravamo tutte abituate a camminare svelte, quasi al limite del trotto. La velocità era dettata dal nostro desiderio di essere trasparenti. Ogni volta che la nostra umanità si faceva solida, sia gli uomini, sia le donne, i bambini, i vecchi e gli adolescenti ci gridavano che no, non eravamo trasparenti: eravamo trans, eravamo tutto ciò che in loro risvegliava l’insulto, il rifiuto. Così, con maggiore o minore dimestichezza, tentavamo di rifugiarci nella trasparenza. Il trionfo consisteva nel tornare a casa essendo invisibili, senza subire aggressioni. La trasparenza, il camuffarsi, l’invisibilità, il silenzio visivo era la nostra piccola felicità quotidiana. I momenti di riposo.

Le donne trans resistono all’asprezza del mondo e alla prepotenza di una società capitalista che le esilia ai margini con la sola forza dei propri corpi, verso i quali sono responsabili. È la stessa Camila a rendersene conto un giorno che sviene in strada. Nessuno viene a soccorrerla. Sui volti della gente legge solo apatia e indifferenza. La consapevolezza di essere sola la rende libera dalla paura perché, pur non avendo nulla, nemmeno l’amore, nulla le potrà mai togliere la responsabilità del suo corpo.

In una vita che attenta proprio ai corpi, con le violenze, le aggressioni, gli insulti, gli sguardi di derisione, la speranza risiede tutta nella possibilità di essere se stessi, di appartenersi, questo sembra suggerire Camila Sosa Villada. Di fronte alla crudeltà del mondo, Le cattive funziona un po’ come le formule e i riti pieni di fumo di sigaro di Machi, è una formula magica di protezione, una suggestione ad accettare tutti i nostri istinti e a rispondere con la fierezza e la libertà delle donne di Parco Sarmiento.

-Davide

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