C’è una nozione che, sempre più spesso, ossessiona chi scrive, chi crea, ma anche chi usufruisce di un prodotto, sia esso culturale o meno: l’originalità, la novità, ovvero evitare di raccontare/creare qualcosa che possa ricordare qualcos’altro. Per noi, per me, questo è un grande errore. Con il suo nuovo romanzo, Palude, Uduvicio Atanagi, pseudonimo tra i tanti pseudonimi di questo autore esistente e al tempo stesso immateriale, ritorna sui luoghi e sulle tematiche indagate a suo tempo in Lucenti, edito a sua volta per Eris Edizioni.
La variazione su un tema già raccontato spesso riesce a mettere in luce aspetti che erano stati sondati, o che semplicemente non avevano trovato il giusto spazio. Se Lucenti, illustrato da AkaB, con le sue quasi duecento pagine, è un’introduzione al mondo dei Lucenti, del loro podere, del bosco che nasconde forze che la mente umana non può comprendere, Palude, accompagnato dalle illustrazioni di Dario Panzeri, racconta invece più da vicino cos’è questa forza, questo moto che sembra opprimere e permeare come muffa gli abitanti di Palude, e di come i Lucenti, volenti o nolenti, si trovino attratti da quel luogo, dalla palude, dal fango, dallo sporco.
Se in Lucenti avevamo una piccola cronaca della storia del podere della famiglia, in Palude i Lucenti, benché siano sparsi per il mondo, benché ignorino la loro origine o il loro cognome, tornano sempre al luogo da dove, chissà come, sono riusciti a scappare. Teresio Lucenti, insieme a sua sorella Luisa e al loro babbo Roberto – un uomo con cui non condividono reali legami di sangue, ma che si è trovato a crescerli dopo la morte della loro madre, la sua compagna – arrivano a Palude. Non hanno una casa, o meglio, quella che dovrebbe essere la loro casa è un relitto coperto di muffa, invivibile, ingestibile, marcia come le fondamenta su cui poggia il paese. Per cui vivono in macchina, in uno spazio limitato e ristretto che diventa a tutti gli effetti una dimora accogliente. Teresio, che porta il nome dello scrittore che compare in Lucenti, ha un potere speciale: riesce a succhiare dallo sterno delle persone, dalle loro viscere, il dolore, il male.
Da qui in poi, per 500 pagine, ci sono gli ingredienti per un romanzo di formazione, di amicizia, di cose da ragazzi ancora bambini che crescono e si rendono conto di come quello che hanno in questo preciso istante di cambiamenti rimarrà per sempre con loro e allo stesso tempo sarà irripetibile.
Con delicatezza, cura e tatto, Uduvicio Atanagi ci accompagna nella discesa verso l’abisso: vediamo Roberto diventa vittima di se stesso, in seguito a una dolorosa scoperta, cade nella disperazione più totale, rimanendo però sempre conscio e lucido. Luisa cerca di proteggere il fratello a tutti i costi, arrivando a compiere atti per lei fino a poco prima inimmaginabili, a corrompere la sua essenza, il suo corpo. Teresio ha una forza, un potere che lo spinge e che è e sempre sarà.
Quando vi parlammo di Lucenti tirammo in ballo Lovecraft. Il paragone viene facile, quasi scontato. Questa volta però, nella scrittura di Atanagi, troviamo una scintilla che, nel buio completo delle vicende umane, quindi corrotte, sembra dare un po’ di speranza, anche se a prima vista di speranza non ce n’è. Uduvicio Atanagi, anche quando scrive di soprusi, violenze, ferite, dolore, liti, riesce a trasmettere una delicatezza, un candore che, per quanto possa sembrare inappropriato, si amalgama perfettamente con la storia.
Palude, una fogna umana nata e cresciuta sull’acquitrino che la inghiottirà, non è solo il luogo in cui si muovono i personaggi, sia esso il limitare del bosco dove si trova l’albero bianco, o le periferie dove Gordo commercia corpi, o il paese o la villa dei Barsoldi. Palude è lo stato d’animo di Sebastian Barsoldi, il figlio minore della famiglia che detiene il potere in tutto il paese, quello sopravvissuto al fratello inarrivabile, quello che, con non poco piacere, accoglie le cinghiate del padre. Palude è anche Bocca d’acciaio, Milena, la banda dei ragazzi capitanati da Elia, Arianna l’amica di Luisa che sembra aver perso l’anima, le vecchie che sono eterne e sempre tre, il cavallo bianco e il lupo, la dicotomia che si ripete e deve ripetersi.
Non c’è salvezza a Palude, nel mondo, o forse c’è n’è se ci si rende conto che il destino, se esiste, è quello che è. Non c’è differenza tra odio e amore, tra vita e morte, tra violenza e passione. Uduvicio Atanagi questo ci insegna, in un romanzo molto più cupo, duro, pieno di sangue e altri fluidi. Non c’è gratuità nella violenza, non c’è indecenza.
Ci sentiamo di consigliare Palude? Diciamo che se volete avvicinarvi a Palude forse è meglio leggere prima I Lucenti, per farvi un’idea della scrittura e del mondo in cui si muove e ci fa muovere Uduvicio Atanagi. Poi, se riuscite a superare il disturbante e l’inquietante – sul retro di copertina di Palude c’è un disclaimer – tuffatevi tra queste pagine. Se vi manca lo Stephen King più viscerale e umano, se volete ritrovare la paura e lo stupore di quando eravate piccoli, se amate sentirvi infinitamente piccoli, Palude è il libro che fa per voi. Non sarà semplice uscirne.
-Marco