Miley Cyrus, indossando i panni di Hannah Montana, durante la sigla della famosa serie televisiva raccontava come riuscisse, vivendo come Miley e come Hanna, a vivere il meglio di entrambi i mondi. Se può funzionare per una star del pop (o per qualsiasi film Disney Channel), è invece più difficile conciliare due mondi totalmente diversi. Come, per esempio, il mondo di Internet e quello della vita vera. Peggio ancora quando si prova a far convivere la vita di tutti i giorni con la letteratura filtrata attraverso internet.
Sono tantissimi i libri, spesso provenienti dal mondo anglosassone, che negli ultimi anni provano a portare su carta stampata la sensazione di spaesamento ed euforia che trasmettono il ping di una notifica, il like a una foto, un retweet. Tanti si perdono nel tentativo di tradurre il linguaggio di internet sulla pagina, tanti altri risultano poco convincenti, non conoscendo davvero il mondo dei social (che, spoiler, non sono tutti uguali, e quindi non rispondono agli stessi parametri, lo stesso stile, la stessa ironia), oppure si lasciano tentare da moralismi senza capo né coda. L’autrice che più si è avvicinata a una narrazione coerente, negli ultimi anni, è Patricia Lockwood. Il suo curriculum parla da solo, ma molto di più dice la sua presenza su Twitter.
Il suo romanzo, No One Is Talking About This, in italiano Nessuno ne parla edito da Mondadori e tradotto da Manuela Faimali, riesce a trasmettere a chi legge quel senso di doom scrolling che finisce inevitabilmente in due modi: perdersi, letteralmente, corpo e anima nel mondo digitale, cercando il tweet più ironico, lo statement più edgy, l’opinione sempre impopolare, oppure chiudendo le app e tornando a preoccuparsi dei veri problemi.
Nessuno ne parla è diviso in due parti. Nella prima, quella più straniante, Lockwood dimostra di saper gestire sia la scrittura (e il pensiero) tipica dei social – rappresentati nel libro da il Portale, una specie di Twitter – sia la scrittura come arte narrativa. Già a partire dall’incipit, veniamo inondati da paragrafi su paragrafi, staccati, brevi, taglienti, alienanti. Mille discorsi diversi prendono piede, in un profluvio di temi, discussioni e commenti su quel politico o quel fenomeno che lasciano un po’ storditi.
All’inizio siamo un po’ a disagio, come quando apri un social per la prima volta: non conosciamo la direzione, non conosciamo il mood di quell’ambiente, il suo linguaggio. Patricia Lockwood riesce a tradurre questa sensazione particolare. Non manca ovviamente la trama: la protagonista, della quale non conosciamo il nome – incredibile, visto la centralità dell’ego nelle piattaforme online – ma che sappiamo essere un’internet celebrity, una donna che ha trovato la fama online proprio per i suoi tweet peculiari, spesso fuori luogo, totalmente unphased. Questo suo successo la porta a fare un ciclo di incontri culturali in tutto il mondo
Così, su due piedi, non sembra niente di originale. E non lo è. Lo è però lo stile della scrittrice che, dopo l’alienazione iniziale (e, va detto, una certa dose di fastidio), ci traghetta oltre lo schermo dello smartphone. Porta con sé una certa freschezza questa abilità nel descrivere l’esperienza social: uno scrolla i post dei propri amici e a un certo punto trova due o tre notizie sulla preoccupante situazione politica estera, un gattino o un cagnolino che fanno le feste, qualche commento razzista, un video che non dovrebbe esistere online, qualcosa che rimarrà a imperitura memoria, un bambino che saluta, un post su una storia probabilmente inventata, qualche discorso cospirazionista e così via. Il doom scrolling su carta mostra come si diventa insensibili a qualsiasi stimolo e si perde la capacità di discernere il registro opportuno, il senso di sè.
Poi arriva la seconda parte.
La protagonista si trova nuovamente in un ambiente a lei estraneo. Improvvisamente, le arriva un messaggio da parte di sua madre: è successo qualcosa a sua sorella. Si tratta di un evento traumatico.
Questo evento, che arriva direttamente dall’esperienza di vita di Lockwood, sarà capace di spostare l’assioma del pensiero della protagonista. Cos’è davvero importante? Essere sempre divertente? Intrattenere a costo di scrivere castronerie? Creare flame all’infinito? Oppure essere presenti quando c’è bisogno, rendersi conto che, a volte, bisogna toccare l’erba e realizzare che la vita esiste al di fuori delle statistiche e dei like?
Una lezione del genere potrebbe suonare scontata, noiosa, un po’ da boomer. Ma Patricia Lockwood convince, e ci fa capire che non è sempre necessario rispondere a quella polemica, dare sempre la migliore immagine di noi stessi. Bisogna occupare gli spazi a cui siamo chiamati, e vivere con più leggerezza un mondo fatto di pretese e che ha poco a che fare con la vita di tutti i giorni, dove ogni giorno succede qualcosa. Nessuno ne parla, ma è così.
Questo sfasamento tra le due parti, sia a livello di tematiche sia a livello di stile, con un ritorno a una prosa più “tradizionale”, dà a Nessuno ne parla quella spinta in più. Leggendo qua e là ci siamo resi conto che tante persone hanno abbandonato la lettura, allontanate dalla sensazione respingente iniziale. Noi vi invitiamo a leggerlo fino alla fine, a portare a conclusione la lettura di questo romanzo di Patricia Lockwood, perché ne vale la pena.