Chi era Primo Levi? A questa domanda si è cercato di dare molte risposte, declinandole in ogni sfumatura possibile. Si potrebbe perfino pensare che se ne sia parlato abbastanza, quindi perché pubblicare ancora un libro su questo scrittore? Considerati il poliedro – definizione che ripetiamo instancabilmente – Levi, la sua natura di scrittore-non scrittore e la vastità dei mondi che racchiudeva questo torinese riservato e geniale, la risposta dovrebbe venire da sé. Primo Levi è un autore di importanza vitale non solo per il Novecento italiano ma soprattutto oggi, che dopo tanto tempo ci ritroviamo a considerare l’importanza della memoria.
La piccola casa editrice Acquario – nata nel 2019 – ha presentato da poco ai suoi lettori Photo Levi, un percorso di ventisette fotografie che ritraggono l’autore accompagnate ciascuna da un commento di Marco Belpoliti, scrittore e saggista che ha curato le Opere complete di Primo Levi pubblicate in tre sontuosi volumi da Einaudi. Si tratta di una raccolta mista di immagini più o meno famose, commissionate per riviste o scattate in occasioni pubbliche, come nel caso dei premi letterari, o ancora provenienti direttamente dall’album fotografico di parenti e amici.
L’intenzione è quella di raccontare la figura di questo importante pilastro del Novecento italiano attraverso le immagini, a loro volta interpretate e descritte col tatto e l’erudizione di uno degli studiosi che più conoscono Primo Levi. E così, ogni pagina porta con sé un Levi diverso: il Levi irrigidito e pensieroso delle fototessere per i documenti di identità; il Levi appassionato di montagna; il Levi sorpreso e abbacinato dalla vittoria al Premio Strega nel 1979, conquistata con La chiave a stella; il Levi pensieroso con la sigaretta tra le dita; il Levi in posa di fronte all’obiettivo di una macchina fotografica, con lo sguardo dolente e una punta di disagio.
Alcune delle riflessioni più interessanti e alcune delle fotografie più belle sono quelle che raccontano l’uomo in relazione con i propri spazi, in particolare con la propria abitazione. Esclusa la parentesi al Lager, Levi ha sempre vissuto nella sua casa di Torino in corso Re Umberto. E proprio in relazione a questa sua radicata presenza regala di sé, ne L’altrui mestiere, una singolare immagine, quella di una patella che, una volta fissata allo scoglio, non si muove più da lì per tutta la sua vita.
Ma, forse, l’immagine più bella di tutte è quella scattata da Paola Agosti nel 1977 a Canale d’Alba. Levi è lì per partecipare all’inaugurazione di un monumento di Gino Scarsi dedicato ai caduti e ai dispersi delle due guerre mondiali. Dopo aver commentato una luminosa fotografia in cui l’autore sta facendo il suo intervento, Belpoliti passa a un altro scatto della fotografa e per descrivere Levi cita un articolo in suo ricordo di Massimo Mila: «Cortese, affabile; ma con quel fisico magro, con quella barbetta scattante, con quegli occhietti vivaci, aveva qualcosa del camoscio, animale che ispira tanta simpatia, ma che si lascia avvicinare poco».
Questo è un modo diverso di approcciarsi all’autore che a scuola ormai viene presentato come lo scrittore testimone per eccellenza. E lo è, testimone degli orrori del nazifascismo, deportato e sopravvissuto, ma è anche molto più di questo. Credo che in Photo Levi appaia evidente. C’è un Primo chimico, anzitutto, e soltanto più tardi scrittore – etichetta che non ha mai sentito pienamente sua –, c’è un Primo affascinato dalla meraviglia della natura, dai giovani e dal mondo che lo circonda. Levi è un artista che supera i confini del semplice esercizio della propria arte e va oltre, scavalcando quella dualità che si sentiva addosso: il centauro chimico-scrittore, scrittore-testimone, italiano ed ebreo. Ha la saggezza del gufo e lo sguardo incantato di un bambino. Non è un profeta laico ma, piuttosto, come si augurava di essere ricordato, un uomo normale di buona memoria.
-Davide