L’editoria non è solo Milano. Qui a Torino, ad animare il vivace panorama delle realtà indipendenti, c’è anche add. Questa piccola casa editrice si occupa principalmente di saggi e biografie dedicati a temi sociali e civili, ma pubblica anche graphic novel, atlanti e racconti di viaggio. Myanmar Swing è un volume che gioca sulla duplice natura di saggio che parla di temi sociali e la storia di un viaggio che è anche esperienza lavorativa e di vita. L’autrice, Carla Vitantonio, è cooperante, attivista, attrice. È stata per quattro anni in Corea del Nord, esperienza che l’ha segnata al punto di scrivere Pyongyang Blues, sempre pubblicato con add, per due anni in Myanmar – in questo caso nel ruolo di direttrice regionale di una Ong internazionale – e ora a Cuba.
Di Myanmar Swing abbiamo detto in precedenza che si tratta di un report dell’«avventura» in Birmania – usiamo entrambi i nomi, Birmania e Myanmar, in modo libero ed equivalente come fa l’autrice nel libro – ma si tratta di un termine riduttivo, sbagliato. Carla Vitantonio racconta di un mondo variopinto cui la sua voce è capace di dare una nota di vitalità che è estranea al report giornalistico. Il suo arrivo a Yangon, dopo gli anni difficili e un po’ grigi a Pyongiang, è una ventata d’aria fresca e al contempo frastornante. La Birmania è un paese che al suo interno custodisce tante etnie, religioni e culture diverse e la speranza di un governo democratico che ha a cuore tutte le minoranze del paese, incarnata da Aung San Suu Kyi (la persecuzione dei rohingya è una ferita aperta), è presto smentita. Quella che ne viene fuori è una Birmania divisa, un calderone pieno di moltitudini che sembrano inconciliabili. Kachin, wa, karen, bamar: nessuno vuole mescolarsi, nessuno vuole guardare oltre le differenze e trovare un punto d’unione. La pace sembra impossibile.
Carla Vitantonio racconta delle difficoltà di svolgere il suo lavoro, dei successi, delle ore che volano, del caldo opprimente anche a gennaio, delle relazioni intrecciate, di amori e amicizie. Il punto di contatto e una casa li trova nella comunità queer – intesa nel significato più ampio possibile concesso dal termine – e nelle arti performative, dal teatro al cabaret. Due piccoli microcosmi che coltiva anche lì in Myanmar e che ristabiliscono l’equilibrio del suo universo interiore. Anche quando parla di discriminazioni, di incomprensioni e di incomunicabilità – non solo coi birmani ma anche coi vertici di altre organizzazioni e con gli esponenti politici di quelli che dovrebbero essere i paesi «democratici» – lo fa con un’ironia così esplosiva che ti strappa un sorriso. E lo fa senza togliere nulla alla dignità e alla drammaticità di certe situazioni.
Myanmar Swing è anche una storia di relazioni. Persone che, considerata la natura del lavoro che fanno – quello di cooperanti per le Ong – e che li porta sempre da un capo all’altro del mondo, spesso riescono a incrociarsi solo per poco tempo. Così la persona che hai conosciuto ieri e che incontri anni dopo potrebbe non essere più la stessa. Potrebbe aver intrapreso una strada diversa, un percorso di crescita altro. Emerge così il quadro di un lavoro che sa essere frustrante, alienante e che a volte è difficile portare avanti a lungo mantenendo la sanità mentale. Un altro mondo da esplorare e che normalmente non conosciamo.
Provo a fissarmi nella memoria l’immagine della pagoda costruita sulla roccia in mezzo alla spiaggia. Delle barche oblunghe e colorate. Delle pozze di acqua calda tra le quali saltello allegramente suscitando la perplessità dei pescatori. Mi sono abituata a guardare i luoghi della mia vita pensando che sia l’ultima volta. Da quando faccio questo lavoro e questa vita, ogni visita in fondo è un addio.
Il Myanmar, le relazioni umane… anche un’altra boa fa capolino da quel mare che è l’esperienza dell’autrice: l’amore per un paese. C’è chi è innamorato-della-Birmania-a-ogni-costo perché l’ha conosciuta ai tempi delle grandi battaglie per i diritti civili e coltiva in sé la speranza di poterla accompagnare verso un vero e proprio percorso democratico, chi fatica a capirla e riesce a provare affetto nei suoi confronti solo dopo molto tempo e dopo aver fatto a testate con la realtà delle cose, molto spesso scoraggiante e deprimente.
Carla – la Carla del libro che è personaggio ma che è anche la Carla che scrive –, Anna, Esther, Nyein Nyein, Georg, Jodi, Pierino, tutti questi nomi diventano qualcosa di più che delle semplici lettere su carta. Sono amici, oltre che i protagonisti di una serie di battaglie che ancora oggi si svolgono perlopiù silenziosamente sotto i nostri occhi in tutto il mondo. Myanmar Swing, come Pyongyang Blues prima di lui, racconta tante storie e tanti mondi complessi, è un vero sguardo verso l’altro, verso il diverso.
-Davide