NNEditore | Sotto la falce | Il memoir di Jesmyn Ward

Jesmyn Ward è conosciuta per la sua trilogia di Bois Sauvage (La linea del sangue, Salvare le ossa, Canta, spirito, canta; tutti pubblicati qui in Italia per NNE) dove, in un piccolo centro abitato in Mississippi, si susseguono le vite di alcune famiglie afroamericane del posto. Ma oltre a parlare di sé e dei luoghi che ama attraverso lo strumento del romanzo, Jesmyn Ward, nel 2013, ha pubblicato un memoir. Questo volume, Sotto la falce, è ora disponibile anche in Italia grazie ai tipi di NNE e alla traduzione di Gaja Cenciarelli.

Nel suo libro, Jesmyn Ward, ricorda la vita di cinque ragazzi, cinque persone care che ha perso nel giro di pochi anni. Chi per un incidente, chi per la droga, chi per un suicidio o un omicidio. Ward ripercorre le loro esistenze: rievoca momenti belli e momenti dolorosi, momenti dolci e momenti tristi, tutti sullo sfondo del Mississippi rurale, un luogo difficile in cui crescere, specialmente se hai il colore della pelle «sbagliato». Subito è evidente che la storia di Roger, Demond, Charles, Ronald e Joshua è quella di tanti altri ragazzi e uomini afroamericani che vivono negli Stati Uniti. Persone che soffrono per episodi di razzismo diretto e violento da un lato, e per il razzismo sistemico che serpeggia viscido nelle istituzioni pubbliche e private (in politica, a scuola, sul lavoro) dall’altro. Chi fa parte delle comunità nere americane, peggio ancora chi vive nell’America rurale, si accorge presto, sin dall’infanzia, della profonda rete di ingiustizie che regola la società e che di fatto riduce di molto il campo delle possibilità future, in ambito lavorativo e non solo.

Eravamo giovani e vivevamo in case apparentemente più popolate da fantasmi che da esseri umani, con i morti vecchi e nuovi. Pensavo alla nonna di Demond e ai suoi figli, e mi chiedevo come fosse stata la loro vita. Avevano vissuto anche loro insieme ai morti come noi? Avevano tracannato whiskey come facevamo noi con la birra, l’erba e le pasticche, e poi si erano guardati l’un l’altro, nella penombra, storditi, sperando in un cambiamento radicale? Anche se i genitori di Demond erano rimasti sposati ed entrambi avevano un buon lavoro, la sua famiglia non era poi così diversa dalla mia, la sua realtà era la stessa, la morte ci perseguitava tutti. Se la storia della famiglia di Demond non era poi così diversa dalla mia, significava forse che stavamo rivivendo sempre la stessa storia, da una generazione all’altra? Significava forse che i giovani neri avrebbero continuato sempre a morire, che sarebbero rimasti solo i bambini e pochi vecchi, come in guerra?

Per questo Sotto la falce è il ricordo appassionato e affettuoso di una donna per cinque amici, un memoir se vogliamo, ma è anche la storia di tutte quelle persone, uomini e donne, che ancora oggi vivono la discriminazione sui propri corpi, nonostante gli Stati Uniti dichiarino a gran voce di essere un paese democratico e aperto a tutti. Un paese che si è liberato della schiavitù molti anni fa, ma che ne ha introdotte di nuove forme, più sottili e meno palesi. Non è un caso che il titolo del libro (Men We Reaped, nell’originale) richiami le parole di Harriet Tubman (1822-1913), donna afroamericana che ha combattuto a lungo contro la schiavitù e che ha liberato dalle piantagioni molti e molte.


Vedemmo il lampo, e furono le armi;
e poi sentimmo il tuono, e furono i potenti;
e poi sentimmo scendere la pioggia, e invece scendeva il sangue;
e quando arrivammo tra le messi, c’erano uomini morti sotto la falce.

Ma queste pagine sono per Jesmyn Ward un’occasione per raccontare anche qualcosa di sé e della sua famiglia. In fondo la storia delle cittadine del delta del Mississipi è strettamente intrecciata, così come lo è quella delle famiglie che lì ci vivono. Ward si ricorda del rapporto complicato del padre e della madre, del legame che la univa a suo fratello e alle sue due sorelle, delle difficoltà di una vita fatta di povertà e sussidi statali. Emergono un padre infedele che cerca disperatamente di realizzare i propri sogni, una madre forte e allo stesso tempo ferita che si fa carico di tutta la sua famiglia, bambini che lottano contro una realtà grama e una giovane Jesmyn che si sente in colpa per l’immenso sacrificio materno, grazie al quale riesce a studiare e a iscriversi a una scuola privata episcopale.

Il suo dolore, la sua rabbia e la sua impotenza (quelli di Jesmyn Ward, NdR) prendono forma nella fossa che lei e il fratello Joshua scoprono nel bosco dietro la loro casa di Gulfport. Quel buco nero e umido di cui non conoscono lo scopo racchiude tutta la frustrazione di fronte a una situazione che pare impossibile cambiare, il razzismo, le discriminazioni, l’odio degli altri e l’odio per se stessa.

A far da contrasto a questa immagine cupa sono le feste con gli amici sotto il sole del Mississippi, le partite nel campo da basket, il senso di appartenenza a quel particolare luogo, le giornate felici in cui l’ambiente familiare appare miracolosamente armonico (per esempio quando il padre accompagna i quattro fratelli a noleggiare i film horror per poi guardarli insieme mangiando popcorn sdraiati sulla moquette).

Jesmyn Ward scrive della sua terra e della sua famiglia con lo stesso linguaggio poetico e ricco con cui aveva raccontato la storia delle famiglie di Bois Sauvage. Con la sua prosa riesce a fare un ritratto piuttosto preciso delle difficoltà – anche se si tratta di un eufemismo – che le comunità afroamericane si trovano a dover affrontare negli Stati Uniti moderni. Sotto la falce diventa così un importante punto di partenza per poter riflettere – con la consapevolezza che rifletterci su non è sufficiente – sulle discriminazioni e la violenza che colpiscono ancora moltissime comunità, anche nei paesi più industrializzati. Sotto la falce è un memoir struggente e doloroso, dolce e caldo, un libro che racchiude in sé tante contraddizioni quante sono quelle del mondo in cui viviamo.

-Davide

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