Bisogna sempre festeggiare l’arrivo di nuovi autori e nuove autrici sul mercato italiano, specialmente se in traduzione, perché con le loro opere ci permettono di rimanere nel comfort delle nostre case, raccontandoci realtà lontane e distanti dalla nostra. Ed è così anche per l’ultima uscita di Rina Edizioni, piccola casa editrice indipendente romana, guidata da Michela Dentamaro, che si propone di ridare voce ad autrici ormai dimenticate o molto spesso date per scontate. Stiamo parlando de La morte arriva in ascensore, romanzo giallo dell’argentina María Angelíca Bosco che arriva per la prima volta in Italia grazie alla traduzione di Francesca Bianchi, che non è una nostra nuova conoscenza. Tra l’altro, questo volume inaugura una nuova collana, Água viva, dedicata alle autrici straniere passate e contemporanee, diretta da Luciano Funetta.
Soprannominata l’Agatha Christie argentina, María Angelíca Bosco nasce a inizio Novecento (per molto tempo ha mentito sulla sua età, come fece la Regina del giallo per sposare il suo secondo marito) a Buenos Aires. Come racconta Francesca Lazzarato nella postfazione al volume, proviene da una buona famiglia borghese di origine italiana. Bosco sembra destinata a seguire i rigidi dettami del ruolo che all’epoca ci si aspettava da una donna del suo rango: dopo la parentesi di studi che le avrebbero permesso di insegnare come maestra, e un paio di libri pubblicati in giovane età, nel 1935 si sposa per la prima volta.
Un solco, quello da lei percorso, che si interrompe però con un taglio netto: l’amore per un altro uomo, il divorzio, lo scandalo. María Angelíca Bosco si ritrova per la prima volta in una situazione finanziaria precaria. Come risolvere il problema?

Consapevole che, in fondo, non le mancava né la forza e né la volontà, decide, noncurante del giudizio altrui, di vivere la scrittura come una professione. Sempre seguendo questo mantra, si addentra nella scena letteraria con un giallo, territorio all’epoca di appannaggio esclusivamente maschile (certo, non dimentichiamoci il romanzo scritto a quattro mani da Adolfo Bioy Casares & Silvina Ocampo, Chi ama, odia, ma rimane sempre il fatto che quel genere in Argentina, a differenza del Regno Unito, era frequentato quasi solo da uomini).
La morte arriva in ascensore, La muerte baja en ascensor, viene pubblicato per la prima volta nel 1954 nella collana El Séptimo Círculo della casa editrice Emecé. La collana è curata da due non ancora celebri Jorges Luis Borges e Adolfo Bioy Casares. Nel 1942 propongono all’editore, che avevano contattato grazie all’intercessione della scrittrice di successo (e amica di Borges) Silvina Bullrich, una collana di classici che si sarebbe dovuta chiamare Sumas. Il progetto viene ritenuto troppo ambizioso e così ripiegano su un’antologia di storie poliziesche che includono non solo scrittori e scrittrici inglesi, ma anche quattro argentini, tra i quali Silvina Ocampo. Il successo che ne consegue fa da apripista per la collana El Séptimo Círculo (che prende il nome dal settimo circolo della Divina Commedia, quello dei violenti). E così poi trova una casa l’esordio poliziesco di María Angelíca Bosco.
Il romanzo si apre sulla Buenos Aiers degli anni Cinquanta. L’Argentina dell’epoca è un ossimoro a forma di nazione: da una parte c’è la riforma costituzionale voluta da Perón come garanzia per la rielezione, dall’altra la storia d’amore con Evita, destinata a finire tragicamente. All’orizzonte, c’è spazio solo per il futuro. Meglio non toccare ferite che ancora pulsano, anche se l’ondata di rifugiati europei che vogliono un nuovo inizio non fa che rammentare il passato.

Come raccontare un macrocosmo così complesso? Studiandolo su scala ridotta. Nel condominio esclusivo di Calle Santa Fe, Pancho Soler, ubriaco perso, sta tornando al suo appartamento. Chiama l’ascensore, che dal sesto piano arriva al piano terra. All’interno c’è una donna giovane e bionda, con indosso una pelliccia scura, una borsa al fianco e in una posizione bizzarra. Dopo un attimo di esitazione l’uomo si rende conto che non è addormentata, ma deceduta.
Si tratta di Frida Eidinger, la moglie di Gustavo Eidinger. I due, entrambi europei, non sono residenti del palazzo di Calle Santa Fe. Viene subito chiamata la polizia: il sovrintendente Vera, il commissario Ericourt e il suo assistente Blasi, sono pronti a mappare il condominio. Questi personaggi non sono macchiette, nei loro comportamenti (e nelle cose che non dicono) raccontano il vizio, la paura e lo stato d’animo di una nazione alla vigilia di un colpo di stato.
«Al primo piano la famiglia Suárez Loza, che adesso è in Europa. Al secondo, il signor Iñarra con la famiglia; al terzo, il signor Czerbó con la sorella; al quarto, il signor Soler; al quinto, il dottor Luchter… un palazzo di gente molto tranquilla, signor ispettore.»
Si tratta sempre di gente molto tranquilla, soprattutto quando ci scappa il morto. Se già la vita di condominio non è semplice di per sé, immaginatevi con un cadavere che fa su e giù in ascensore. Scoperte identità e residenza della vittima, iniziano le indagini vere e proprie. Non bisogna prestare troppa attenzione a quello che dicono i personaggi, ma piuttosto al modo in cui lo dicono e, soprattutto, a quello che si nasconde tra le righe. Non si può criticare apertamente il regime, ma si possono far notare alcuni dettegli qua e là, sull’autorità che, come il verbo divino, non si può mettere in discussione. E poi ci sono i sospettati, che non si fidano l’uno dell’altro, perché alla fine l’identità di una persona non si può mai conoscere fino in fondo: non è che Tizio è un agente filogovernativo? Oppure un rifugiato di guerra? È persecutore o oppresso?
Dispiace un po’ vedere il nome di Agatha Christie al fianco di quello di María Angelíca Bosco. Non perché non ne sia meritevole, ma perché la scrittrice argentina ha una voce e uno stile originali, molto diversi dalla sua controparte inglese: i personaggi non sono pedine, o macchiette, ma veri e propri esseri umani; lo stile di scrittura è più ricercato, mellifluo, mai fine a se stesso o serioso. Altro dettaglio, non necessariamente significativo: la Christie non era una delle sue autrici preferite.
Su una cosa però entrambe vanno d’accordo: sul modo di portare avanti le indagini, con gli indizi in bella vista, giocando sul fattore sorpresa che lascia il lettore principiante senza parole e quello più esperto con un senso di soddisfazione, suscitato dall’eterno ristabilirsi dell’ordine dopo la catarsi del delitto.
Gioiamo quindi dell’arrivo in Italia, anche se in ritardo, di una delle migliori voci del giallo argentino, sperando di vedere presto altri suoi romanzi. Evviva María Angelíca Bosco! Evviva La morte arriva in ascensore! Evviva Rina Edizioni!
-Marco
PS: il volume è accompagnato da un prologo di Ricardo Piglia. Per quanto sia interessante, ne consigliamo la lettura una volta terminato il romanzo.
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