Eris Edizioni | Che cosa resta di noi di Juri di Molfetta illustrato da Squaz

La lettura non è soltanto escapismo. Leggere ci permette di capire situazioni lontane, nel tempo e nello spazio, e di dare risposta a certi nostri interrogativi. Tutto questo per dire che il nuovo romanzo di Juri Di Molfetta, Che cosa resta di noi, pubblicato da Eris Edizioni con le illustrazioni di Squaz, rientra in questa seconda categoria.

Juri Di Molfetta non è nuovo ai tipi di Eris: i suoi lavori precedenti, pubblicati con la casa editrice indipendente torinese, Oggi tocca a me e Una città perfetta, affrontano il cambiamento, quella fase in cui ci si rende conto che il mondo come lo si è conosciuto (o percepito) è destinato a mutare (quasi mai in meglio).

Torino, 1982. Guido, Giuseppe (Beppe) e Maurizio (Mauri), sono tre ragazzini quasi adolescenti. Cresciuti insieme nello stesso cortile, tra la scuola e le partite di calcio in Piazzale Neruda, vivono una pace che non è destinata a durare. Guido sta per traslocare con sua madre, Patrizia, che ha deciso di lasciare il marito, Sergio, uno dei cassintegrati della celebre marcia dei quarantamila, tutti destinati, in un modo o nell’altro, ad abbandonare Mirafiori, il «mostro che mangiava esseri umani e cagava automobili». Patrizia invece ha fatto carriera grazie all’attivismo sindacale e alla vicinanza al Partito comunista italiano.

Dal quartiere popolare, dalla vita proletaria, Guido si trova catapultato nel mondo borghese, quello dove «son tutti dei porci». Beppe e Mauri non se la cavano tanto meglio: il primo se la deve vedere con una famiglia che è tale solo per il sangue che li unisce, mente il secondo è alle prese con la sua salute mentale e le crisi che lo colgono, curate con antidepressivi che servono solo ad anestetizzarlo.

Questi tre ragazzini rappresentano quello che sta per affacciarsi nel futuro della città e dell’Italia. Gli anni ’70 sono finiti da poco, ma gli strascichi delle stragi, del terrorismo politico, dei depistaggi e delle lotte proletarie si sentono ancora. La ferita della morte di Tonino Miccichè, ucciso con un colpo di pistola alla tempia da una guardia giurata per un motivo futile, è ancora aperta. La città non riesce a capire a cosa sia servita la violenza, la lotta, dato che la rivoluzione tanto promessa non si è vista.

In mezzo a queste incertezze, sfruttando l’esasperazione della gente (e non del popolo, termine che suggerisce l’esistenza di un padrone), si muovono i fascisti, le frange più estreme della desta, i rappresentanti della malavita e delle mafie, i membri di polizia corrotti.

La nostra vittoria è stata provarci, far intuire che vincere è possibile, fargli paura. Noi abbiamo vinto nel momento che abbiamo deciso di metterci in gioco. Abbiamo vinto ogni giorno, nei picchetti, sulle barricate in strada, nella loro paura ogni volta che dovevano uscire di casa. per quanto mi riguarda, ora tocca ad altri. Il nostro campionato è finito.

Il culmine di quello che sta succedendo in Italia lo si raggiunge in una data e in un luogo ben precisi: l’11 luglio 1982, a Torino.

Da mesi era pianificato il concerto dei Rolling Stones, uno dei primi eventi musicali di grande rilievo a Torino dopo la strage del Cinema Statuto, che aveva messo un freno alla vita sociale della città, apparentemente destinata a morire. Non solo il concerto però, ma anche l’attesa finale dei mondiali di calcio. L’Italia infatti era riuscita a sbaragliare le altre squadre e ad arrivare in finale contro la Germania. Data la portata dell’evento, il concerto della band statunitense era stato spostato nel pomeriggio.

Guido, Beppe, Maurizio, Sergio, Patrizia, Anna, l’ispettore della Digos Starace e gli altri personaggi del romanzo corrono esasperati verso questo 11 luglio, ognuno con le sue motivazioni. Non sanno ancora che quello sarà uno spartiacque per la società italiana. L’impatto della vittoria dell’Italia in quella finale accelera gli anni ’80, da alcuni definiti terribili. Il consumismo sfrenato, il privato che soppianta l’idea di comunità e di solidarietà, per non parlare poi di quell’apertura al reaganismo-thatcherismo le cui disastrose conseguenze scontiamo ancora oggi.

Ma che cosa resta di noi?: una frattura, una mancata promessa, un nuovo ordine che soppianta quello vecchio, peggiore in tutti i modi possibili. Il romanzo di Juri di Molfetta, più di tanti altri, sottolinea questa differenza di pensiero e di concepire la società, che separa i tormentati anni ’70 e la falsa quiete degli ’80. Per questo bisogna continuare a leggere, perché «la rivoluzione ha il senso di responsabilità di un bambino che assalta una pasticceria. La rivoluzione è una pratica, non un processo».

Per capire meglio il messaggio che comunica Che cosa resta di noi, il suggerimento è di ascoltare le canzoni che vengono citate nel romanzo (raccolte in una lista alla fine del libro). Colti da uno slancio un po’ nostalgico, abbiamo creato una musicassetta virtuale con alcune immagini della Torino che va dagli anni sessanta agli anni ottanta, incluse le canzoni citate dall’autore. Mancano gli AC/DC: a quanto pare si sono imborghesiti e tengono troppo al copyright. Buon ascolto!

-Marco

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