#EinaudiTO: Fruttero, Lucentini e l’Einaudi

#EinaudiTO ci ha abituati ad avere ogni mese un autore o un’autrice diversi, ma visto che questo 2020 è particolare (e bisestile) lo è anche la tappa di agosto, che vede protagonista il duo più famoso del ‘900 italiano: Carlo Fruttero e Franco Lucentini.

Chi bazzica queste pagine sa già della nostra passione (e delle strane coincidenze) per La Ditta, tanto da aver dedicato loro un percorso di lettura, #OpereDiBottega, diversi itinerari sulle orme dei loro romanzi torinesi, per non parlare poi di quella volta che ci siamo fatti raccontare un bel po’ di cose sul loro conto da Maria Carla Fruttero, figlia di Carlo Fruttero. Non stupisce quindi che anche i loro nomi facciano parte degli autori einaudiani che abbiamo scelto.

Uno torinese, l’altro romano, uno più dedito alla lettura e allo studio (anche se poi abbandonerà l’università), l’altro arrestato per aver organizzato una protesta contro un raduno fascista alla Sapienza di Roma, le esistenze di Fruttero e Lucentini (ancora non accomunati dall’ampersand) fino al 1953 corrono parallele, per poi incrociarsi a Parigi, come ogni buon romanzo che si rispetti.

Lucentini inizia a collaborare con l’Einaudi nel 1949. Nella capitale francese segue le novità editoriali, si occupa dei rapporti con Gallimard e di quelli con le altre case editrici in affari con lo Struzzo, spesso difficili a causa della scarsa solerzia dell’editore torinese in fatto di pagamenti. Di questo periodo troviamo traccia nel carteggio tra lo scrittore romano e Luciano Foà, l’allora segretario generale di Einaudi.

Veniamo a conoscenza della maniacalità (o forse dello zelo) con cui Lucentini adempiva ai suoi doveri, comunicando tempestivamente numerosi pareri di lettura, spesso e volentieri negativi. Celebre è la citazione, che dà anche il titolo a una monografia, «un gran mucchio di romanzacci.»

Nello stesso periodo, dopo diversi anni passati in giro per l’Europa a lavorare come imbianchino e tuttofare, anche Carlo Fruttero approda a Parigi, dove inizia a tradurre.

Di questo loro incontro racconta Fruttero in Ritratto dell’artista come anima bella, una dedica all’amico che accompagnerà l’edizione Mondadori di Notizie degli scavi, breve raccolta di racconti di Lucentini.

Ho conosciuto Lucentini nel 1953, a Parigi. Ora, Parigi è un luogo traboccante di fatalità letteraria, ma un tantino passé, e sarebbe meno imbarazzante avere come punto di partenza Roma, dove Lucentini è nato, o Torino, dove sono nato io, o l’operosa Milano, cui attualmente è legato il nostro lavoro di consulenti e lettori della casa editrice Mondadori. […]

Nel 1953 Lucentini abitava, inevitabilmente, in una mansarda di Montmartre. Io, altrettanto inevitabilmente, in un infame alberghetto di Montparnasse. Lo portò da me un pomeriggio il nostro comune amico Sandro, che veniva dall’Italia e mi aveva lasciato pochi giorni prima un numero della rivista “Nuovi Argomenti” perché leggessi il racconto di Lucentini La porta. L’avevo letto e, quando Lucentini arrivò insieme a Sandro, Ida e Sidney, gli dissi ma quant’è bello, quanto m’è piaciuto, sebbene avessi delle segrete riserve su certi punti.

Insomma, un’amicizia nata subito dalle stesse passioni e dallo stesso modo di essere e percepire il mondo, nonostante all’apparenza i due fossero così diversi. Proprio per questo, possiamo immaginare, funzionarono così bene.

Il periodo francese arriva a conclusione qualche anno dopo, nel 1957, quando Lucentini viene richiamato a Torino per lavorare in redazione. Fruttero lavorava già in via Biancamano, condividendo l’ufficio con un certo Italo Calvino, che sarebbe diventato un suo carissimo amico (e compagno di villeggiatura nella bella Castiglione della Pescaia).

I due però non lavorano ancora insieme: Lucentini si occupa delle traduzioni, vista la sua abilità con le lingue, ma si avventura anche nella scrittura. È il suo I compagni sconosciuti a inaugurare la collana I Gettoni di Elio Vittorini.

Nel frattempo Fruttero, oltre a tradurre, si occupa, insieme a Solmi, dell’antologia fantascientifica Le meraviglie del possibile. All’interno di questo volume è presente anche un racconto, L’affare Herzog (The Historical Case of Lieutenant Herzog) di un certo Charles F. Obstbaum. Vi invitiamo a cercare il vero significato, in italiano, di questo nome. Le meraviglie del possibile è un grandissimo successo, tanto che in futuro nascono diversi volumi sulla stessa scia.

E proprio su un’antologia, Fruttero e Lucentini, lavorano insieme per la prima volta: nel 1960 curano Storie di fantasmi, antologia di racconti anglosassoni del soprannaturale (che custodisce alcune storie di H.P. Lovecraft, un nome che incontreranno spesso sul loro cammino) e l’anno successivo si dedicano a Il secondo libro della fantascienza, dove troviamo anche il celebre racconto La torre di Babele di Borges.

Di questi anni in Einaudi racconta Pietro Citati in un articolo di Repubblica.

A pochi anni di distanza, Fruttero e Lucentini diventarono redattori della casa editrice Einaudi. Un mattino, verso le otto e trenta, percorsero i portici fumosi di via Cernaia, inoltrandosi sotto i grandi ippocastani frondosi e profumati di corso Umberto I. Lì accanto, a via Biancamano 1 bis, c’ era la casa editrice Einaudi.

Quando Fruttero e Lucentini varcarono il portone, furono turbati. Un profumo intensissimo e onnipervasivo occupava tutti gli spazi vuoti, sfiorava il volto del portiere, riempiva gli uffici dei redattori, l’ Ufficio stampa, intrideva di sé le macchine da scrivere, i libri, le lettere in arrivo e in partenza, l’ Archivio, le bozze, le copertine. Non era, come pensarono Fruttero e Lucentini, il profumo di una grande cortigiana francese degli anni venti o trenta. Era il profumo personale di Giulio Einaudi. Cinque minuti dopo, il profumo venne interrotto, quasi spezzato e violato fisicamente, da una voce gracchiante, ironica, arrogante, nutrita di noncurante disprezzo. Era la voce di Giulio Einaudi.

Malgrado il profumo e la voce, Fruttero e Lucentini lavorarono per anni a via Umberto Biancamano 1 bis.  […] Qualche sera erano invitati al ristorante o a casa da Giulio Einaudi – questo geniale vampiro. Come il capriccioso spirito di Dio scende dall’alto sul capo dei suoi eletti, Einaudi cambiava rapidamente simpatie. […] Se prediligeva qualcuno, Einaudi lo rivelava al ristorante: seduto nella seggiola accanto all’amato, becchettava con la forchetta nel suo piatto: asportando un maccherone o un asparago o una patata fritta, o del caviale iraniano, o un brandello di carne, o un gambero, e talvolta frugando avidamente col cucchiaino perfino nella squisita patata al forno intrisa di burro. I presenti conoscevano benissimo il significato di questo gesto.

Einaudi donava tutto sé stesso, offriva il suo corpo e la sua anima all’amato, frugava nelle sue viscere, e insieme gli posava sulla lingua l’ostia – l’ostia dell’elezione. Einaudi non becchettò mai nei piatti di Fruttero e Lucentini: né essi, che erano persone bene educate, lo avrebbero tollerato. Così, per evitare l’ ostia dell’elezione, Fruttero e Lucentini lasciarono l’Einaudi, per collaborare con una casa editrice più rozza, la Mondadori, dove avrebbero curato una rivista di fantascienza, Urania.

Il mistero Fruttero & Lucentini, Pietro Citati, La Repubblica

Un rapporto, quello con la casa editrice e l’editore, alquanto particolare. Come riporta Citati, i due si sono poi allontanati dallo Struzzo (Fruttero prima, Lucentini poi) per dedicarsi a Urania, la collana di fantascienza di Mondadori. Questa loro decisione si rivela una scommessa vinta. I due raccontavano che per scegliere i titoli da pubblicare si dividevano i libri – 15, 20, 30 a testa – per poi scambiarseli e infine decidere cosa tenere e cosa abbandonare. Molto spesso sceglievano di scartare gli stessi libri.

Da qui in poi sappiamo che F&L, che si sono firmati con l’ampersand per la prima volta nel 1971 con la raccolta di poesie L’idraulico non verrà, hanno grande successo. Mentre curano Urania riescono a far pubblicare il loro primo romanzo, La donna della domenica, che diventa da subito un bestseller, tanto che nel ’74 vede luce la trasposizione cinematografica, con la regia di Comencini e le musiche di Ennio Morricone. Qualche anno dopo scrivono A che punto è la notte.

Questo romanzo, in antitesi con il primo, esplora con grande anticipo i problemi che si andavano creando non tanto della società dei benestanti (che invece era la protagonista de La donna della domenica), ma di chi vive ai margini, gli inascoltati.

Nel romanzo c’è spazio poi per l’ironia. I due si tolgono qualche sassolino dalla scarpa ed evocano Einaudi e la casa editrice. Tra i protagonisti infatti c’è l’Editore, senza nome, a capo della Edizioni Arte e Pensiero (rigorosamente una s.p.a.).

L’editore, quando s’affacciarono al suo ufficio, stava parlando al telefono. Sedeva col busto tutto rovesciato all’indietro, come per prendere beatamente il sole, e da quello sfoggio di indolenza Monguzzi comprese al volo che l’argomento della conversazione doveva essere il denaro. Sospinto da Rossignolo varcò la soglia dell’ufficio, e tutti e due andarono a sedersi davanti alla scrivania. Restava solo da appurare se il capo fosse impegnato a chiedere soldi o a negarne.

– Non è il caso che lo ricordi proprio a te, – disse l’editore con la sua vocina infastidita, – ma noi siamo una casa editrice di punta, su base pluralistica e cooperativa…

La frase era di quelle utilizzate di norma per dilazionare, e Monguzzi si chiese chi fosse stavolta il disgraziato. Il capo, senza essere tecnicamente avaro, considerava tuttavia il fatto di lavorare per lui un privilegio così intrinsecamente meraviglioso da rendere superflua ogni retribuzione.

In A che punto è la notte, l’editore, si diletta nella pesca nel piatto altrui, proprio come racconta Citati.

Ernesto Ferrero, in un recente documentario per Rai 5, racconta come il nome di Fruttero e Lucentini fosse impronunciabile in via Biancamano dopo la loro fuga. Era inconcepibile che due menti come le loro potessero preferire il mondo più commerciale alla Cultura con la c maiuscola. Ma la filosofia dei due amici era divertirsi, a prescindere da qualsiasi cosa cui si dedicassero. Dal più grande capolavoro della letteratura al giallo più commerciale, passando per mostri spaziali, orrori senza nome, storie d’amore piene di cliché, romanzi al limite del Rocky Horror Picture Show, parodie politiche e, perché no, scandali internazionali.

Un articolo non basterebbe mai a raccontare l’intero percorso di Fruttero e Lucentini. Nelle loro opere si respira ancora quella leggerezza di cui parla Calvino nelle sue Lezioni Americane, una leggerezza a cui si affiancano l’ironia, il potere delle parole e del non prendersi sul serio.


Per il mese di settembre #EinaudiTO ci porta alla scoperta di Franco Fortini, altro pilastro della letteratura italiana del ‘900. I nostri consigli arriveranno molto presto, li troverete sul nostro profilo Instagram.

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