#EinaudiTO: Franco Fortini, la vita culturale e la poesia

Uno degli intellettuali più importanti della seconda metà del Novecento è sicuramente Franco Fortini, nato Lattes a Firenze nel 1917. Franco Fortini – protagonista della tappa di EinaudiTO di questo mese – è stato un critico letterario, poeta, scrittore, traduttore, giornalista, consulente editoriale e molto altro ancora. Figlio di un avvocato, Franco si laurea prima in giurisprudenza e poi in lettere nel 1940. In quegli anni di fascismo Fortini si sente a disagio, è in disaccordo su tutti i fronti con l’ideologia imperante e dopo l’armistizio, per sfuggire alle persecuzioni degli ebrei, si rifugia in Svizzera. Non è un caso infatti che decida di adottare lo pseudonimo Fortini, abbandonando il cognome ebraico paterno.

Franco Lattes sceglie di diventare Franco Fortini nel 1939, proprio a causa di quel regime fascista che tanto odiava. Lo fa per pubblicare i suoi scritti in piena libertà senza dover essere sottoposto a persecuzione e censura. Così prende in prestito parte del cognome materno, Fortini, lasciando cadere il ‘del Giglio’ finale, perché pensava portasse con sé un’aura troppo salvifica.

Ritorna in Italia passando per la Valdossola, saldo nell’idea di partecipare attivamente alle ultime rappresaglie partigiane per contribuire alla caduta del fascismo. Nel 1945, nel dopoguerra, si trasferisce a Milano, dove si ritrova immerso da subito in un’intensa vita intellettuale. Fortini qui trascorre le sue giornate nelle zone di Brera e di corso Buenos Aires, ammirando gli artisti che espongono i propri quadri e cogliendo con occhio acuto i cambiamenti in atto in quel momento storico di riassestamento sociale. Gli anni del dopoguerra sono infatti anni di profonda internazionalizzazione a causa dell’occupazione e del ritorno dei deportati dai campi di concentramento. Sono gli anni in cui a Milano, ma in tutta Italia, si respira l’aria greve dell’attesa di una novità che sembra essere dietro l’angolo, una novità necessaria per dimenticare gli anni infausti del fascismo. È proprio in questo periodo che Fortini si iscrive al partito socialista e che inizia a collaborare al «Politecnico» di Vittorini, intrecciando il suo nome a quello della storia della letteratura italiana.

In quegli anni esce anche il suo primo libro di poesie, Foglio di via, pubblicato dalla casa editrice Einaudi con un disegno di Fortini in copertina e la dedica al padre. Italo Calvino è il primo a recensire la sua raccolta e su «l’Unità» scrive «Franco Fortini, il giovane poeta fiorentino di cui Einaudi ci presenta il folto quaderno Foglio di via, è nell’interezza della sua opera poeta della resistenza. Poeta della resistenza fin dalle più antiche liriche della raccolta .»

Dopo aver terminato la sua esperienza con la rivista di Vittorini, Fortini inizia a lavorare per l’Olivetti. Inizialmente si trasferisce a Ivrea ma poi torna a Milano per spostarsi, tra il ’49 e il ’54, nel settore pubblicitario. È lui a inventare il nome della macchina da scrivere lettera 32. Alcuni anni dopo aver fondato «Ragionamenti», la prima rivista sul marxismo critico in Italia, nel 1959, Fortini rinsalda i legami con lo Struzzo e inizia la sua attività di consulente editoriale per l’Einaudi. Per la casa editrice lavora anche come traduttore: sue sono alcune traduzioni di Proust, Brecht, Kafka – autore a cui era particolarmente legato – e Paul Éluard. Nella collana Collezione di poesia poi, oltre a Foglio di via, sono raccolti i volumi Composita solvantur (1994) e Poesie inedite (1997) – quest’ultima è una raccolta postuma curata da Pier Vincenzo Mengaldo. Questioni di frontiera (1977), volume dedicato allo studio della storia in relazione al presente e al marxismo, è pubblicato nella collana Gli struzzi.

I cani del Sinai (1967) rappresenta invece un scritto atipico di Fortini. Nel libro l’autore si dedica a una riflessione autobiografica sulla propria origine ebraica e critica apertamente l’atteggiamento filo-israeliano della borghesia occidentale. Il volume viene pubblicato per la prima volta dalla casa editrice di Bari, De Donato, e oggi lo troviamo in una bellissima edizione Quodlibet, accompagnato in appendice dalla Lettera agli ebrei italiani dell’autore, curata dal Centro Studi Franco Fortini.

Una delle passioni più grandi di Fortini è però la poesia. Dalla frequentazione con gli ambienti letterari fiorentini non sente che freddezza, un luogo estraneo in cui non si ritrova, tanto da dire a più riprese in varie interviste che con l’ermetismo che lì spopolava sente di non averci nulla a che fare. La forma poetica per Fortini ha la sua essenza in una serie di significati secondari e perciò ha tutto da guadagnare da un’apparente semplicità, da un vocabolario più ristretto. Là dove nella poesia è sempre stato chiaro, limpido, nella prosa, soprattutto nei suoi testi dedicati alla critica, Fortini è più complesso, più cervellotico se vogliamo. La sua idea è che nella prosa, dove il lettore è abituato a correre, bisogna arrestarlo, costringerlo a fermarsi e a pensare. Per questo sceglie di essere volutamente difficile e contorto. Questo diverso approccio per le due forme letterarie è particolarmente evidente in Verifica dei poteri – pubblicato per Il Saggiatore nel 1965, oggi in nuova veste grafica – dove l’autore analizza approfonditamente il mondo letterario dell’epoca e la critica, con le sue forze e le sue debolezze.

Negli ultimi anni della sua vita Franco Fortini collabora con «il manifesto», «l’Espresso», «il Sole 24 ore» e partecipa a importanti convegni. La morte lo coglie nel novembre del 1994, Giovanni Raboni – poeta che ricordiamo ha tradotto per Mondadori Alla ricerca del tempo perduto di Proust – un anno più tardi commenta l’accaduto, con un brano tratto da Insistenze, una raccolta in cui sono radunati alcuni scritti di Fortini che vanno dal 1976 al 1984, pubblicata per Garzanti nel 1985. Un brano che riassume l’idea che Fortini aveva della letteratura, una letteratura come valore assoluto ma anche come importante mezzo di intervento sulla realtà.

-Davide & Marco

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