#RadicalBookFair | Intervista a Alessio Forgione: Giovanissimi, Napoli e il Premio Strega

Alessio Forgione è nato a Napoli nel 1986. Scrive perché ama leggere e ama leggere perché crede che una sola vita non sia abbastanza. Il suo romanzo d’esordio, Napoli mon amour, ha vinto il Premio Berto 2019 e il Premio Intersezioni Italia-Russia; in corso di traduzione in Francia e Russia, verrà portato in scena al Teatro Mercadante di Napoli con la regia di Rosario Sparno.

Siamo veramente felici di aver avuto la possibilità di fare qualche domanda a Alessio Forgione, scrittore tra i 12 finalisti al Premio Strega 2020 con il suo Giovanissimi. Al suo secondo romanzo, vediamo ancora una volta Napoli come sfondo e allo stesso tempo personaggio principale. Vi lasciamo alle sue parole.


Alessio Forgione, classe 1986, hai scritto e pubblicato due romanzi per la casa editrice NNE: Napoli mon amour e Giovanissimi. Proprio sul sito di NNE leggiamo che “Scrivi perché ami leggere”. Uno scrittore deve essere prima di tutto un lettore?

Sì, secondo me leggere è essenziale per chi vuole scrivere. Per fare un esempio un po’ dozzinale: leggere è l’allenamento e scrivere è la partita della domenica, e gli atleti passano molto più tempo ad allenarsi che a gareggiare. Inoltre, leggere è uno dei piaceri della vita, scrivere no.

In Napoli mon amour, del 2018, racconti di Amoresano, un trentenne laureato senza lavoro che vive alla periferia di Napoli. Ci accompagni attraverso la sua quotidianità scrivendo in prima persona. Come è nata l’idea per il tuo romanzo d’esordio?

Una mattina, appena sveglio. Ho aperto gli occhi e avevo l’idea. Mi sono riaddormentato e quando mi sono svegliato di nuovo non ricordavo di averla avuta. Sedutomi per il pranzo è tornata a galla e a quel punto ho pensato che forse era il caso di scrivermela da qualche parte. Che poi l’idea consisteva nel raccontare le mie giornate, senza esagerazioni e filtri, così com’erano.

Il protagonista di Napoli mon amour ha come idolo letterario Raffaele La Capria. Ha la fortuna di conoscerlo e di sottoporgli i racconti che scrive, ricevendo pareri positivi. La Capria è un autore che apprezzi anche tu? Quello che lui dice degli scritti di Amoresano sono pareri che sono stati rivolti anche a te?

Ferito a morte, di Raffaele La Capria, è il mio romanzo italiano preferito. Lo trovo perfetto, sotto qualsiasi punto di vista, tanto nella sostanza quanto nella forma. Andò che praticamente brancolavo nel buio e non riuscivo a capire le cose che scrivevo, né il punto né il valore, e gliele consegnai. Lui mi richiamò dopo qualche giorno e così andai a casa sua e poi ci siamo detti le cose che ci diciamo in Napoli mon amour. Fu una giornata speciale.

FORGIONE Alessio, writer - © BASSO CANNARSA

Napoli mon amour è un romanzo d’esordio. Esordio che però ti ha portato alla vittoria del Premio Berto 2019, mentre con Giovanissimi sei candidato al Premio Strega 2020. Che ruolo pensi che abbiano avuto per te i premi letterari e che ruolo pensi che assumano, o che potrebbero assumere, per la letteratura italiana?

Non sono sicuro di saper rispondere a questa domanda. Perché, sì, ritengo importanti i premi ed è bello riceverli, ma non me la sento di non attribuire una certa dose di qualità o valore ai libri che non riescono a farsi notare a dovere. Di sicuro sono convinto dell’importanza della “critica”, tutta, quando è argomentata e costruttiva, perché ti aiuta a scoprire lati del tuo lavoro che forse non ti erano molto chiari o che non lo erano per niente.

E se penso allo Strega e ai suoi vincitori e alle sue cinquine vedo i nomi di tantissimi dei miei scrittori preferiti.

Parlando di Giovanissimi, il tuo secondo romanzo, troviamo nuovamente la Napoli di periferia, ma questa volta al centro della vicenda ci sono gli adolescenti, giovanissimi come la categoria calcistica in cui rientrano. È difficile raccontare un’età diversa dalla propria?

No, se non si è mai cresciuti. È un po’ una battuta e un po’ no, perché so che sono un adulto, me ne accorgo, ma non riesco a considerarmi pienamente tale. Non vedo steccati che dividono la mia vita in fasi e quindi non sono certo di chi sono e dove sono, all’interno del percorso della mia vita e anche in generale.

Più che altro, in funzione di Giovanissimi, ho cercato di ricordare, bene, com’erano le mie giornate da adolescente, cosa facevo, chi vedevo e con quale spirito e sensazioni.

Marocco, insieme al padre, vive condividendo l’assenza femminile. La madre di Marocco infatti li ha abbandonati e i due si ritrovano a doversi bastare, nonostante tutto. Si può sopperire al dolore solo negandolo?

Non credo. Credo che negare un dolore equivalga a buttare lo sporco sotto al tappeto, e quando ne butti molto crea degli avvallamenti e non ci si cammina più bene, sul tappeto. E un tappeto su cui non ci si può camminare è un oggetto inutile e come tutte le cose inutili, prima o poi, fa una brutta fine.

Secondo me, il dolore va affrontato, proprio al fine di non generare altro dolore.

Marocco e il padre decidono la tattica o la strada del silenzio, e non vanno molto lontani. Sì, da un certo punto in poi del romanzo riescono a trovare un equilibrio, ma quanto altro dolore gli è costato e hanno dovuto sopportare per arrivare a quel sudato equilibrio?

Io, personalmente, sono per il parlarsi. Anche a brutto muso: l’importante è non interrompere il dialogo. Ma è anche vero che spesso non c’è molto da dirsi.

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Mentre Amoresano sembra non avere nessuna possibilità di riscatto, Marocco e i suoi amici hanno tutta la vita davanti a loro, ogni possibilità è sogno, reale e irreale allo stesso tempo. Quale prospettiva pensi sia più dannosa?

Dice Louis-Ferdinand Céline che è il nascere che non ci voleva, ma ora è il crescere che non ci vuole e fortuna che ci vorrà la morte.

Tutto è dannoso, sempre, perché tutto lascia un segno, anche quando non ce ne accorgiamo. L’unica cosa che reputo non dannosa, di questa vita, è il pensare che un mattone per volta si costruisce anche una fortezza; fortezza che entrambi i protagonisti vorrebbero utilizzare per proteggersi dal resto del mondo.

Credo di scrivere di persone che non vincono, ma che non sono necessariamente dei vinti. Perché a me non interessa vincere, ma giocare bene per quelli che sono i miei standard, e probabilmente i miei personaggi pensano la stessa cosa. Quindi, tutte le prospettive sono dannose se le si guarda nel lungo periodo.

Nonostante le tematiche, la tua scrittura non cede al sentimentalismo o all’artificiosità. È una scelta voluta per la tematica trattata oppure è semplicemente il tuo modo di scrivere?

Io non ci faccio molto caso al modo in cui scrivo e non so bene in che modo scrivo e che tipo di cose scrivo. Me lo sono chiesto migliaia di volte, molto tempo fa. Non ho trovato nessuna risposta certa e così ho smesso.

Diciamo che mi limito a scrivere e basta e credo che i lettori, tutti, non siano stupidi e debbano assolutamente partecipare alla creazione della storia, interagire con essa e spostarne il baricentro e la traiettoria, e chi scrive deve descrivere un sentimento e non limitarsi a enunciarlo. Enunciarlo e basta è gossip o una telecronaca, cioè cose non troppo entusiasmanti da leggere. E la vita, poi, è più ricca di così e non è mai troppo sentimentale con nessuno.

La verità è credo ai gesti, e non alle parole.

Napoli in entrambi i tuoi romanzi si vive e si sente come un’entità a se stante, pulsante e presente. Scriverai ancora della tua città?

Sì. I prossimi romanzi avranno di certo Napoli dentro. E anche quando non scriverò di Napoli in realtà starò scrivendo di Napoli.

Napoli, per me, è un po’ come il vizio del fumo: quando provi a smettere non fumi, ma continui a pensare di non star fumando.

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Nel tuo approcciarti alla scrittura senti di esserti ispirato in qualche modo a qualche altro narratore italiano o straniero?

Decine e decine. Sarebbe una lista lunghissima. Tutto t’influenza, anche le cose che non ti piacciono. Per certi versi, le cose che non ti piacciono ti influenzano più di quelle che ti piacciono.

Considerata la situazione attuale di emergenza, come pensi che cambierà il modo di raccontare e scrivere? Cambierà qualche paradigma?

Questo davvero non lo so. Forse prolifereranno storie riguardanti virus assurdi e pandemie e reclusioni forzate, e forse vorrò pure leggerle, ma tra qualche anno e non ora. Perché quello che mi piace dei libri è proprio questo leggere e stare a Salinas, in California, e guardare un prato infinito e poi alzare gli occhi dalla pagina e ritrovarmi in metropolitana, nella vita di tutti i giorni. Leggere mi piace perché mi piace scappare per un po’ da me stesso e mi servono gli altri e le loro storie per capire la mia.

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