Tra le prime pubblicazioni nella collana Bompiani Munizioni, diretta da Roberto Saviano che l’ha inaugurata qualche settimana fa al cospetto di blogger e giornalisti, figura, accanto a Daphne Caruana Galizia e al suo Di’ la verità anche se la tua voce trema, Fariña di Nacho Carretero, tradotto per Bompiani da Giuseppe Grosso.
Come si intuisce dal titolo, il perno centrale dell’inchiesta è proprio la Fariña, la cocaina, l’oro bianco, il suo traffico attraverso la Galizia, regione spagnola che è diventata una vera e propria porta europea dello spaccio.
Se con Zero Zero Zero Roberto Saviano ha scelto la via del romanzo-inchiesta per raccontare il mercato globale della cocaina, il giro di soldi e di vittime che produce e come in realtà si faccia poco per combattere attivamente i cartelli, Nacho Carretero sceglie direttamente il formato dell’inchiesta, raccontando semplicemente i fatti come stanno, e spesso, perdonate la frase fatta, la realtà supera la finzione.

Per farci capire l’atmosfera della Galizia, la conformazione della costa, dei confini e anche l’origine del nome “Costa della Morte“, Carretero racconta l’inizio del contrabbando dalle origini “pirata”, con gli assalti alle navi inglesi. Tra realtà e leggenda, tra voci di gruppi di sciacalli pronti a buttarsi sulla prima imbarcazione incagliata tra gli scogli o peggio, affondata non troppo a largo. Questo passaggio è fondamentale, per descrivere come in un determinato tessuto sociale lontano dalla centralità dello stato, del buon vivere e del senso civico, atti del genere non sono visti come illegali, ma semplicemente necessari.
Il mito dei contrabbandieri poi diviene realtà con lo scoppiare della guerra civile spagnola, la crisi economica, la nascita della dittatura salazarista e il processo di democratizzazione della Spagna. Tutte queste sacche vuote di controllo, di stagnamento delle regole o semplicemente zone d’ombra, tra la necessità e la volontà anche di una piccola rivalsa, hanno dato spazio ai contrabbandieri. All’inizio ovviamente si parlava di “normali” forme di mercato nero per sopravvivere alla fame. Dai beni di prima necessità poi si passa a parti metalliche, biciclette, per arrivare poi al tabacco e infine alle sigarette.
Con questo salto di qualità, se così si può definire, si vanno instaurando i primi “clan”, le famiglie dei signori del fumo, i signori do fume. Il mercato nero delle sigarette, alimentato anche dalle stesse multinazionali, che riversano sul mercato nero sigarette non vendibili o eccedenze di mercato, con tutto il suo giro di soldi ha permessi a questi capoclan di trasformarsi da semplici campagnoli buzzurri a signorotti che guidano le loro Mercedes e abitano nelle più grandi e pacchiane case di campagna.
Nacho Carretero non si fa problemi nel fare nomi che sono apparsi in varie inchieste, e nemmeno si fa scrupoli nel raccontare come personaggi come Celso Lorenzo Villa, contrabbandiere e presidente del Celta, squadra regionale che doveva i suoi successi anche ai soldi ottenuti attraverso le vendite illegali, uno dei primi grandi capi galiziani, fossero aiutati dalla Guardia Civil, forza dell’ordine che mentre chiudeva un occhio sui movimenti illegali metteva in tasca la mano piena di sigarette e soldi sporchi.
Questi baroni do fume, come ogni personaggio della malavita che si rispetti, hanno un loro codice etico, morale e religioso. Per esempio, non stupisce sentire dalla bocca di Manuel Dìaz, boss galiziano che con il contrabbando finanziava la festa patronale della Guarda, che dava lavoro a intere famiglie, anche lui presidente di una squadra di calcio, il Club Sporting Guardes, e poi diventato sindaco di Guarda, che “la parola di contrabbandiere è parola d’onore” e “I contrabbandieri sono le persone più oneste del mondo“.
Può sembrare un copione già sentito, ma la distorsione del bene e del male, questa forma di religione personale (quale Dio, se mai dovesse esistere, sarebbe contento di vedersi festeggiato attraverso fondi illeciti o peggio?) e questo senso morale dedito al benaltrismo e al “c’è sempre peggio” è ciò che permette a queste attività criminali di prosperare, di auto cibarsi e auto affermarsi come unica alternativa a una legalità che viene vista come stupida, come cosa da gente tocca, non da furbi.
Un esempio lampante è il fatto che molti di questi signori do fume, Diaz e Villa compresi, negli anni ’70/’80 si dichiaravano innocenti perché contrabbandavano solo in sigarette, e non in droga. Cosa che invece i loro successori non condividevano, anzi. Proprio approfittando della ricca e fitta rete organizzativa risalente ai tempi del contrabbando sul confine del Portogallo, i “giovani” rampolli delle famiglie do fume si sono dediti al contrabbando di hashish prima e cocaina poi.

Il tutto gestito esattamente come le sigarette: le navi madre con i carichi rimanevano a largo in acque internazionali lontane dalla Costa della Morte, per poi essere raggiunte da motoscafi che avrebbero scaricato gli stupefacenti sulla terraferma in tempo record, pronti per partire alla volta di Madrid prima e delle capitali europee poi. Una struttura organizzativa talmente funzionante e ben inserita nel grande scherma del riciclaggio e dello spaccio da diventare il punto di riferimento per i cartelli colombiani dello spaccio in Europa.
Comincia così l’avventura dell’oro bianco in Europa, della cocaina che dagli anni ’80 in poi avrebbe cominciato a scorrere come acqua su tutto il continente attraverso una fitta ragnatela di contrabbandieri, clan mafiosi, prestanome, conti nascosti a Ginevra, politici corrotti (o complici), il tutto aiutato da una macchina della giustizia che non sapeva come agire a causa di un vuoto legislativo dovuto proprio alla recente democratizzazione del paese.
Nacho Carrettero ripercorre la storia di questi eventi alternandola a fatti e trascrizioni con una prosa accattivante, quasi da romanzo vero e proprio. E la sensazione di vivere tra realtà e finzione la danno episodi come quelli dei bambini che intervistati in tv dichiarano candidamente che da grandi vorrebbero fare i contrabbandieri proprio come i loro padri, o i ragazzi che tra un lavoro stancante e una serata di scarico merci decidono senza problemi la seconda, pronti poi a godersi i frutti del lavoro con spogliarelliste o serate cafone.
E questo Carretero lo fa senza peli sulla lingua, ringraziando i suoi colleghi e trascrivendo per filo e per segno sia gli atti giudiziari sia i rapporti delle indagini, raccontando tra un nome e l’altro come la società e lo stato siano stati complici di tutto ciò.
Non stupisce che un libro scomodo come Fariña, che mette a nudo le criticità di un sistema complice, sia stato messo al bando e sequestrato dalle librerie. Ma fino a quando ci saranno lettori pronti a informarsi su questi fatti, a parlarne e a attirare i riflettori su queste tematiche, non ci sarà censura che regga. Perché, per citare il motto della neonata collana, le parole sono munizioni. Leggendo e discutendo non facciamo che prepararci alla battaglia.
-Davide & Marco