L’ora del mondo di Matteo Meschiari: la recensione

Una delle nuove scoperte in campo editoriale che abbiamo fatto durante l’ormai lontano Salone Internazionale del libro di Torino è stata Hacca Edizioni, casa editrice nata nel 2006 che ha sede nella Marche, a Matelica. Una casa editrice con una linea editoriale ben chiara e definita, con titoli che raccontano il mondo di oggi con nuovi punti di vista (sia narrativa contemporanea italiana che straniera) oppure guardano al futuro senza dimenticare il passato, riscoprendolo come nella collana “Novecento.0“.

Matteo Meschiari (di cui abbiamo letto Neghentopia, altra storia difficile da dimenticare),  per Hacca Edizioni pubblica L’ora del mondo.

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Proprio come nell’esperimento Neghentopia, Meschiari gioca con la concezione di mondo possibile e mondo reale. Nella natura dell’Appennino tosco-emiliano, ieri come oggi, vivono delle forze immutabili, figlie della Natura.

Tra semidei, patriarchi guardiani, semi patriarchi, animali ed esseri che seguono la trama intessuta dal naturale corso degli eventi, spunta un giorno Libera, ragazzina dai capelli rossi e dalla mano monca, una mano che mai le è cresciuta.

La corriera blu tormalina arrancava e tossiva giù per la valle dove la strada statale si arrotolava tra dirupi sbrecciati e declivi lividi di boschi. Da appena qualche giorno le faggete avevano indossato una sfumatura rossiccia perché le gemme si erano gonfiate ai primi soli e i torrenti della linfa avevano ripreso a premere dentro i tronchi notturni.

Libera è umana, ma è dotata della capacità di parlare con gli esseri che vivono nel mondo delle Terre Soprane, le terre dell’Appennino, che al loro interno ospitano creature che gli uomini hanno ormai dimenticato. Se in Neghentopia Meschiari racconta del viaggio del ricordo e della perdita della memoria di un ragazzo attraverso atmosfere cupe, di un post mondo in cui ogni cosa è attaccata alla vita come un fungo parassita che succhia i nutrienti da una radice ormai quasi secca, in L’ora del Mondo si affida al registro della favola che si perde nel mito. Un’epica famigliare al lettore, perché parte della propria esperienza di lettura (e non solo, visto che il mito è presente nella vita di ognuno in diverse declinazioni), che riesce nell’intento di creare un nuovo racconto dall’immaginario collettivo, confondendo il reale con il mistico, la finzione con le sensazioni.

Ma eravamo sempre lì sai? Gilgamesh ed Enkidu, Mosè e il faraone. I contadini e lo Zar. Nordisti e Sudisti. Partigiani e Fascisti. Amore e Odio. Azione e coscienza. Sempre. Lì. Fino al venticinquesimo di aprile. Quando decise di non parlarmi più. E il giorno in cui sei nata sparì.

In queste atmosfere magiche scopriamo il ruolo di Libera nella storia: il suo maestro, l’Uomo-Somaro, la porta al concilio degli altri Patriarchi, guide dei loro popoli, per affidarle una missione. Uno di loro è un Mezzo Patriarca, il quale, come mito ci insegna, non può esistere senza la sua altra metà. Il compito di Libera è quello di ritrovare l’altro Mezzo Patriarca, una missione che la porterà ad affrontare i diversi topoi del viaggio dell’eroe, anche se questa definizione può sembrare riduttiva.

Matteo Meschiari infatti decide, distinguendosi da altri contemporanei, di distendere il suo sguardo sull’ampio, sul tutto, per raccontare la situazione del singolo. Meschiari torna a scrivere miti, a parlare della condizione dell’uomo non come elemento a sé stante, ma come parte di un sistema molto più grande, che contempla non solo il visibile ma anche il nascosto e l’impercettibile.

Il filtro della storia è lo sguardo di una bambina che bambina non è, un essere eterno che si ritrova a dover stabilire l’ordine tra le Terre Soprane e le Terre Sottane, quelle abitate dall’uomo, la creatura impegnata nella banalità del male, nell’esistere e non nel vivere, nel costruire, vendere, dormire.

In un gioco di voci, esseri eterei, paesaggi reali e mondi altri, si dipana il racconto di Meschiari, che combina il racconto di una rivoluzione possibile, di un’altra possibilità. Non senza battaglie, non senza guerre, non senza perdite.

Tu sei la brezza che spezza la spiga. Tu rompi il cerchio dei diecimila anni di schiavitù del pane. Entri nella testa della gente. E la gente si sveglia.

L’ora del mondo di Matteo Meschiari è la favola di come possiamo svegliarci anche noi, per tornare a godere di quello che al momento sembra solo finzione, ma che magari è solo invisibile.

-Marco

3 pensieri su “L’ora del mondo di Matteo Meschiari: la recensione

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