È sempre bello scoprire voci nuove, autori di cui nemmeno immaginavi l’esistenza e che ti conquistano sin dalle prime pagine. Ed è proprio questo che è successo con Robert McLiam Wilson, autore irlandese, di Belfast per la precisione, noto al pubblico di lettori affezionati per il romanzo Eureka Street (Fazi Editore). Però a essermi capitato tra le mani è un altro romanzo, meno noto, pubblicato nel 1989 e da poco ritradotto da Enrico Palandri proprio per Fazi. Sto parlando di Ripley Bogle.
Ripley Bogle è un ragazzo, appena ventiduenne, che vive per le strade di Londra, in una situazione di salute precaria e indigenza. Un’esistenza solitaria, dopo aver abbandonato la famiglia irlandese, quella che gli ha dato il nome, verso il quale prova sentimenti contrastanti. Ed è proprio lui a raccontare la sua vita, il suo passato e quello che lo ha portato a vivere all’addiaccio. Sembra quasi una biografia, in prima persona, inframmezzata da consigli sulla vita del barbone, sullo sfondo di un Regno Unito che tanto unito non sembra, con violenza e tensione etniche e religiose.
Quello che più colpisce è che, nonostante la tragicità della vita di Bogle e dei personaggi che vengono presentati il sorriso si presenta spontaneo sulla bocca del lettore. Non per aridità emotiva, anzi. Piuttosto perché la penna dell’autore riesce a conferire a una vicenda che sconfortante è dire poco, una sferzante ironia. Ripley è intelligente, troppo per il suo bene, ha una vita propria e ci si dimentica presto che c’è una persona che scrive, il personaggio si anima e vive da solo, senza bisogno di altri input.
Va da sé che sono stato sempre un genio. All’età di cinque anni avevo letto tutto Dickens e Thackeray e avevo passato il resto di quell’anno a coprire la maggior parte della produzione letteraria dell’Ottocento. (Forse è per questo che il mio stile è tanto florido, rotondo, così fottutamente cortese).
Ripley Bogle rappresenta un punto di vista un po’ diverso da quello a cui siamo abituati quando si parla di Londra e Irlanda. Il punto di vista di chi non ce l’ha fatta, disincantato e ironico, senza però perdere un’indefinita nota poetica (in mancanza di parole migliori).
La narrazione ha un ritmo trascinante, non è frenetica, tutt’altro, ma cuce gli occhi alla pagina, nell’attesa di capire, di comprendere perché l’irriverente ragazzo si trova nella situazione in cui versa. Che dico, sarebbe interessante anche solo sentire parlare Bogle a ruota libera, come perso in un brainstorming intellettuale, senza conoscerne le cause.
A chiusura del libro, rimane la sensazione di aver lasciato una persona cara, un po’ sboccata certo, ma pur sempre qualcuno a cui si è voluto molto bene.
Pensate a Dickens e Orwell. Dove sarebbero quei due senza un precoce e fruttuoso soggiorno sul marciapiede?
Pensiero e memoria. Roba sorprendentemente buona. Confesso che la mia intelligenza appare di rado ma la mnemotecnica è il mio costante, solido sostegno. Momenti replicabili, ecco il succo della mia storiella. La revisione. Pensieri lattei e oblii nebulosi. Redigo, saluto e spintono la realtà, io e i miei dispettosi capricci d’autori.
Così mi conforto. Non fareste lo stesso?
-Davide
L’ha ribloggato su Alessandria today.
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Dalle citazioni che hai trascritto traspare uno stile davvero particolare, moderno ma ricercato, adoro! Voglio leggerlo ora!
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Consigliatissimo, una storia unica. 🙂
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