Dark Harlem, sulle note del mistero

Da oggi, sugli scaffali delle librerie, fisiche e virtuali, è disponibile Dark Harlem, di Rudolph Fisher, l’ultima aggiunta della collana Darkside di Fazi, un volume di poco più di 300 pagine che ho potuto leggere grazie alla gentile collaborazione della casa editrice. Il libro, nella traduzione di Pietro Meneghelli, è la prima detective story di un autore afroamericano che sia mai stata pubblicata (1932) su una pubblicazione non periodica.

Nel libro, il veggente, anche se è un termine riduttivo per il personaggio, Frimbo viene assassinato in circostanze piuttosto singolari, durante una delle sue sessioni di lavoro. La persona sulla quale ricadono i sospetti è Jinx Jenkins, tutte le prove trovate sulla scena del delitto sembrano puntare a lui. Ma la realtà delle cose non è così semplice come sembra e il detective Perry Dart e il dottor Archer, la vera mente dell’indagine, si ritroveranno tra le mani un rompicapo che apparentemente supera l’umana comprensione.

Il punto forte del romanzo sono sicuramente i personaggi. Fisher riesce a creare un’immagine piuttosto colorita e variegata di quella che era la Harlem dell’epoca dell’Harlem Renaissance (1918-1937), una comunità afroamericana frammentata al suo interno dalle divisioni dei ceti sociali e dalle gradazioni del colore della pelle. Una divisione resa ancora più efficace dall’equilibrato alternarsi delle battute dei personaggi del romanzo. Il linguaggio di Frimbo o del dottor Archer, quello di Bubber Brown e Jinx Jenkins, riflette alla perfezione l’estrazione sociale di queste simpatiche macchiette.

Il personaggio più affascinante di tutti è senza ombra di dubbio il dottor Archer, personaggio dagli evidenti riferimenti autobiografici. Come il dottore anche Rudolph Fisher è un uomo di scienza. Dopo aver studiato a Washington biologia e radiologia, Fisher contribuisce in modo consistente alla ricerca nel campo della radiologia e, in un secondo tempo, apre uno studio medico a New York. La sovrapposizione tra l’autore e il dottor Archer è resa palese quando quest’ultimo dice:

“Un giorno o l’altro scriverò un romanzo poliziesco”, rifletté il dottor Archer “che lascerà il mondo perplesso e sbalordito. Si scoprirà che l’omicida è quello più sospettato.”

E sotto molti punti di vista, c’è riuscito brillantemente.

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Una foto dell’archivio della Brown University che ritrae Rudolph Fisher.

Un altro aspetto predominante è proprio quello dell’ironia, che permea tutto il libro. L’uso di battute provocanti e irriverenti ricorda per certi versi una versione più mitigata dello sguardo ironico di Paul Beatty nel suo Lo schiavista, e dona al romanzo un’atmosfera di vivace convivialità che contribuisce a creare a sua volta un ritmo serrato, pertinente al genere del testo.

Nella lettura si sente molto lo stacco tra una prima e una seconda parte del romanzo. Nella prima l’azione si svolge interamente in una sola sera, dilatandosi in un paio d’ore, e ha radici più materiali e concrete, mentre, la seconda si fa portatrice di una dimensione più metafisica e meno investigativa e si svolge nell’arco di un paio di giorni. Questo stacco un po’ brusco segna anche una rottura nell’armonia del ritmo della narrazione, che appare appena un po’ più affrettato.

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A proposito di ritmo, a fare da “colonna sonora” all’intera storia è I’ll Be Glad When You Are Dead, You Rascal You, di Louis Armstrong. Una canzone quantomai azzeccata, che idealmente funge da virgolette di apertura e chiusura alla storia, che termina e inizia proprio sulle sue note premonitrici.

I’ll bel glad when you’re dead, you rascal you,

I’ll be glad when you’re dead, you rascal you.

What is it that you’ve got

Makes my wife think you so hot?

Oh, you dog… I’ll be glad when you’re gone!

-Davide

 

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