Certa letteratura italiana contemporanea sembra ben adattarsi ai tempi che stiamo vivendo. Tra tutte le realtà è forse Bompiani la fucina di un certo tipo di narrazione che è più pronta a rispondere ai nostri interrogativi attraverso la lente del fantastico, in tutte le declinazioni possibili. Se già lo ha fatto Loredana Lipperini con il suo La notte si avvicina (ma anche in tempi non sospetti con Magia Nera e L’arrivo di Saturno), non stupisce di vedere nello stesso catalogo il nuovo romanzo di Marco Peano, Morsi.
Marco Peano, editor per Einaudi, già autore per minimum fax con L’invenzione della madre, scrive una storia che sin dalle prime pagine sembra ingannare il lettore. La quarta è stringata, la copertina è una distesa bianca con una figura femminile al centro sovrastata dalla scritta Morsi, quasi fuori campo.
E quasi fuori campo sono la storia e la sua protagonista: l’anno è il 1996, il mese è dicembre, il luogo è un paesino delle valli piemontesi, Lanzo Torinese. In una delle case che compongono Borgo Loreto vivono Sonia Ala e la nonna. Le due, a causa di un maltempo estremo e di una nevicata che passerà alla storia, si trovano isolate.
Sonia non vive sempre a Lanzo, ma anche a Ciriè, località che agli occhi dei giovani della provincia sembra quasi una metropoli. Ce lo conferma anche Teo Savant, suo ex compagno di scuola. È la sua vita fuori Lanzo a rendere Sonia fuori campo, oltre al fatto che va bene a scuola ma non ha una conoscenza pratica delle cose, ancora bambina nonostante il suo corpo mostri già i cambiamenti che la porteranno a diventare donna.
Fino a qui il romanzo di Peano potrebbe sembrare il classico romanzo borghese italiano. Tuttavia, a rompere gli equilibri della provincia, scanditi dai cicli della vita di campagna e dalle merende sinoire, è l’incidente che coinvolge la professoressa Cardone, insegnante della scuola di Lanzo che davanti a una delle sue classi compie un gesto inspiegabile. Questo episodio, di cui i grandi non parlano, non rimarrà un caso isolato.
Il racconto di una realtà di provincia che non risponde ai ritmi delle grandi città, la natura matrigna, le tradizioni e il folklore, una minaccia incomprensibile, venuta da fuori. Questo è il mix di elementi che contraddistingue l’opera di Howard Phillips Lovecraft, ma ne troviamo un’eco anche in Morsi. No, non è un paragone campato per aria, Peano ha familiarità col Solitario di Providence, e proprio poco tempo fa ha curato un’edizione, per Einaudi, de I Taccuini di Randolph Carter. Poco importa se l’orrore non arriva dallo spazio ma dalle campagne popolate dalle masche (o forse portato dal Buran), l’influenza di Lovecraft è innegabile.
L’elemento sovrannaturale si sposa perfettamente col resto della storia, anche perché la scrittura semplice, diretta, precisa come un bisturi, regala al lettore il ritratto di una realtà che è possibile, e non di una storia «inventata». L’esperienza come editor deve aver permesso a Peano di allenare la capacità di dosare con finezza le parole, parole che saranno la salvezza di Sonia, parole che le vengono in sogno, la stessa dimensione che è così importante per Lovecraft.
Potrei chiudere questo articolo con un gioco di parole, stra-abusato, sul cognome del Solitario di Providence (love-craft) e sull’amore per la scrittura e la letteratura, ma mi limito a consigliarvi la lettura di Morsi, un romanzo inaspettato.
-Marco