#EinaudiTO: Lalla Romano, il Premio Strega e le parole leggere

Abbiamo scelto di dedicare la tappa del mese di novembre di #EinaudiTO a una delle più grandi scrittrici del Novecento italiano, Lalla Romano. La sua esistenza è sempre stata divisa tra tre aree geografiche distinte: una è il cuneese della sua infanzia, l’altra Torino, dove ha passato la sua giovinezza e dove ha dato linfa alla sua formazione culturale e infine Milano, dove ha trascorso gli ultimi anni della sua vita. Una costante del suo percorso è stata indubbiamente Einaudi. Con la casa editrice ha pubblicato quasi tutti i suoi libri ed è andata ad arricchire quel coro di autori, come Italo Calvino e Natalia Ginzburg, che dell’essenzialità ha fatto la propria cifra stilistica.

Lalla Romano nasce a Demonte, un paesino della provincia di Cuneo custodito dalla Valle Stura, l’11 novembre 1906. I paesaggi della sua infanzia e della sua adolescenza rimangono sempre impressi nella sua mente e così, quando decide di studiare Lettere e Filosofia a Torino, uno dei percorsi artistici cui consacra le sue attenzioni è la pittura. Su consiglio di un docente, Lionello Venturi, dopo l’università, si iscrive alla scuola di Felice Casorati. Qui affina le sue doti di pittrice e inizia a esercitare questa forma d’arte, attività che porta avanti per ben vent’anni in modo discontinuo.

Oltre a dipingere, alla giovane Lalla piace scrivere. È il 1941 l’anno che la porta a incrociare la sua strada con quella della casa editrice Einaudi. Dietro suggerimento di Eugenio Montale, propone alcuni suoi versi allo Struzzo, che li accetta e li pubblica in una raccolta dal titolo Fiore. Così Lalla Romano esordisce nella poesia, anticipando la potenza visiva di altre raccolte come L’Autunno (1955) e Giovane è il tempo (1974). Per l’esordio narrativo bisogna aspettare un decennio, quando, nel 1951, vengono pubblicate Le Metamorfosi. Il volume, in cui vengono raccontati i sogni di cinque particolari personaggi, viene inserito all’interno della collana dei «Gettoni», all’epoca curata da Vittorini. Si tratta di uno dei libri più belli che la Romano abbia mai scritto, anche Natalia Ginzburg ne tesse le lodi nel suo Vita immaginaria (1974).

Le poesie di Lalla Romano, Giovane è il tempo, uscite ora da Einaudi, sono immensamente più belle delle poesie di Bassani e sono poesie vere, e tuttavia non è questo il libro più bello di Lalla Romano, essendo secondo me Le Metamorfosi il suo libro più bello. Le Metamorfosi è un libro che a me accade di rileggere spesso, e mi accade di cercarlo quando non ho più voglia di scrivere niente, nei momenti di tedio, malumore e disamore. Le Metamorfosi sono storie di sogni. È in prosa, ma la sua qualità è quella di una raccolta di versi. Le Metamorfosi è uscito una prima volta nel ‘51, e una seconda volta pochi anni fa, e sia la prima come la seconda volta nessuno se ne è accorto e nessuno ne ha parlato, chissà perché.

Quello di cui parla la Ginzburg, la scrittura di una prosa che sa di raccolta di versi, lo si potrebbe dire di qualsiasi romanzo di Lalla Romano. In ciascuno di essi si percepisce una maniacale attenzione al ritmo, tanto che anche gli spazi che circondano le parole assumono un significato specifico nel contesto della musicalità della narrazione. Questa sensibilità accompagna tutte le storie della Romano, storie che uno sarebbe tentato di definire autobiografiche, termine che l’autrice respingeva fermamente.

La Romano attinge certo alla sua biografia – Una giovinezza inventata (1979) su tutte – ma solo per riflettere su esperienze universali che si possono riassumere nel valore della memoria. Non tanto una memoria storica, quanto una memoria fallace, con i suoi spazi vuoti, che si propone di rivitalizzare il passato e dilatarlo nel tempo. Così la scrittrice, più che confrontarsi con se stessa e con le proprie esperienze, si confronta con l’alterità, con persone con cui è entrata in contatto, sia che si tratti di familiari – La penombra che abbiamo attraversato (1964), Le parole fra noi leggere (1969), Nei mari estremi (Mondadori, 1987) – sia che si tratti di persone a lei vicine – Maria (1953) –, per estrapolare riflessioni sui rapporti e sulla natura umane.

Le parole fra noi leggere, la storia del rapporto tra una madre e un figlio, ricalca il suo rapporto con Piero, l’unico nato dal primo matrimonio, quello con Innocenzo Monti. Si tratta di un romanzo di grande successo, che le vale anche il Premio Strega. Del marito e della sua malattia, che lo porterà alla morte, racconta invece in Nei mari estremi.

Oltre a essenzialità e memoria, c’è un’altra parola chiave che descrive bene la letteratura di Lalla Romano: immagine. Abbiamo già detto che la pittura è una grande passione della scrittrice. Anche se abbandona l’idea di appendere i suoi quadri nelle gallerie d’arte e di farne una professione, tra una pausa e l’altra dalla scrittura continua ad abbozzare disegni, scarabocchi e immagini che diventano parte integrante della storia che vuole raccontare, quasi ne costituissero un paratesto segreto.

Negli ultimi anni della sua vita, malata e quasi cieca, scrive e disegna ancora, nonostante le difficoltà pratiche. Sente che quella è la sua strada e sceglie di percorrerla fino agli ultimi passi. Con l’aiuto di Antonio Ria, suo secondo marito, tra il 2000 e il 2001, annota su grandi fogli bianchi piccoli pensieri e riflessioni e, qualche anno dopo la sua morte, Einaudi pubblica Diario ultimo, il frutto del lavoro di quel periodo e l’ultima testimonianza che resta a noi lettori di una grandissima scrittrice.

-Davide & Marco

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