Il nome di Carolina Invernizio è legato a una ricca produzione romanzesca – scriveva anche più di tre titoli all’anno – oltre che a numerose lodi e altrettante critiche (una delle più celebri è quella di Antonio Gramsci, che la definì “un’onesta gallina”). Carolina Invernizio nasce nel 1851 a Voghera, benché riferisse in giro che la sua data di nascita risalisse a sette anni dopo. Suoi sono la bellezza di centotrenta romanzi, alcuni pubblicati come volumi solo dopo essere usciti a episodi su quotidiani quali la Gazzetta di Torino e l’Opinione nazionale di Firenze. Il romanzo d’esordio è Rina o l’angelo delle Alpi (1877) e, come tutti gli altri, viene pubblicato dalla casa editrice A. Salani.
E infatti Carolina Invernizio rientra a pieno titolo nella tradizione del romanzo d’appendice italiano. Le sue storie vengono pubblicate a puntate sui quotidiani e riprendono tutti gli elementi tipici del feuilleton francese, a cui il romanzo d’appendice si rifaceva. Le storie della Invernizio sono ricche di colpi di scena, i cliffhanger, e di turbolente relazioni familiari, figli orfani, genitori ritrovati e amanti traditori e malvagi. Ma la Invernizio è anche una delle prime a introdurre il giallo nelle case dei lettori italiani. Un esempio è Nina, la poliziotta dilettante (1909), oggi riportato in libreria dalla piccola casa editrice indipendente Rina edizioni.
La storia inizia quasi immediatamente con un omicidio. Nina, salutato il fidanzato, il conte Carlo Sveglia, dopo un incontro a casa della giovane operaia, vicino a corso Peschiera, è felice e ignara della tempesta che l’aspetta. Il ragazzo viene assassinato a pochi passi da casa sua e, ricevuta il mattino dopo la terribile notizia, Nina decide di prendere in mano le indagini e scoprire per conto suo chi ha ucciso l’amato. Per fare questo si infiltra sotto copertura nella famiglia degli Sveglia, e osserva da vicino tutti quelli che avrebbero potuto avere un interesse nel compiere il misfatto. Come nella migliore tradizione del romanzo d’appendice, Nina ha un’aiutante nella sua impresa, la Ranocchia, una donna con un passato doloroso che si scoprirà legato a doppia mandata a quello della famiglia Sveglia.
Nina ha tutti gli elementi tipici delle storie della Invernizio. Il cuore del romanzo è la famiglia, il terreno sul quale inevitabilmente si gioca sempre la lotta tra il bene e il male. Solo con la restaurazione dell’ordine familiare si può arrivare davvero a un lieto fine. In questo senso, nonostante i romanzi della Invernizio all’epoca fossero considerati a dir poco scandalosi, la scrittrice è pienamente figlia dei suoi tempi. Nina si fa portatrice dei valori della morale borghese, una morale all’epoca fortemente cattolica e non è infatti un caso che spesso faccia capolino la Provvidenza, allo stesso modo in cui faceva capolino ne I promessi sposi di Alessandro Manzoni.
A leggere questo giallo, dove Nina è antenata di più celebri investigatrici, una fra tutte Miss Marple, sembra di essere di fronte a una sceneggiatura teatrale. I sentimenti dei personaggi sono amplificati, quasi stessero proclamando le proprie pene di fronte a un pubblico in un piccolo teatro torinese. In realtà questo aspetto iperbolico e drammatico dei sentimenti e delle situazioni in cui si vengono a trovare i personaggi è tipico del romanzo d’appendice e la Invernizio lo usa abbondantemente per creare un colpo di scena dietro l’altro e intrecci complessi e ricchi. Farsi uno schema dei personaggi, delle famiglie, di figli perduti e genitori ritrovati è d’obbligo per tenere traccia di quello che sta succedendo.
Nonostante la storia sia permeata da un certo moralismo, che, ripetiamo, è figlio di un’epoca e va contestualizzato, ci sono sorprendenti elementi di modernità. Nina, rimasta orfana, decide di abbandonare la protezione della vicina di casa Ghita e del figlio Martino e, per non pesare sulla loro famiglia, decide di vivere da sola e di lavorare come operaia. Considerando che siamo nel 1909 è un aspetto non di poco conto. Poi, è Nina che sceglie di indagare il delitto per scoprire l’assassino e di vendicare Carlo e, tra un travestimento e l’altro, porta avanti i suoi piani con intelligenza e astuzia.
La storia, come accennavamo prima, non si può concludere se non mettendo un punto fermo. Non c’è un finale aperto e l’ordine familiare viene in qualche misura ristabilito, anche se sempre nell’ottica di non creare ‘scandalo’ nella società. A maggior ragione, per questo motivo, può far sorridere il fatto che i romanzi della Invernizio venissero bollati come scandalosi, quando l’ordine sociale e morale erano il traguardo ultimo che si poneva la scrittrice al momento di concludere le sue storie.
Già nel 2016, in un articolo della Stampa di Domenico Quirico, a cento anni dalla morte della Invernizio, ci si chiedeva se non fosse il caso di tornare a leggere i suoi romanzi. Ebbene, con quattro anni di ritardo finalmente si dà risposta affermativa a questa domanda.
-Davide & Marco
P.S. abbiamo creato un gruppo di lettura virtuale sulla nuova uscita di Rina, Nina la poliziotta! Se volete unirvi a noi in questo percorso potete entrare nel gruppo Telegram !
Ammetto di non conoscere affatto Carolina Invernizio, ma ora sono davvero curiosa di leggere qualcosa di suo!
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