La tappa di maggio di #EinaudiTO è dedicata a una figura imprescindibile della storia einaudiana e torinese sotto molteplici punti di vista, Ernesto Ferrero. Quale momento migliore per parlare di uno degli intellettuali più eclettici della contemporaneità se non pochi giorni dopo la conclusione del #SalTOExtra, alternativa digitale al Salone del Libro di Torino? Eh sì, perché Ernesto Ferrero è il Direttore storico del Salone, che ha accudito dal lontano 1998 al 2016.
Come dicevamo, Ernesto Ferrero è legato a doppia mandata alla città di Torino. In parte perché ci è nato, nel 1938, e in parte perché è stato ed è ancora oggi un membro importante della Einaudi. Ferrero si avvicina allo Struzzo partecipando a un concorso come responsabile ufficio stampa della casa editrice, in sostituzione di Guido Davico Bonino, che abbandonava quella posizione per trasferirsi alla redazione editoriale. Il concorso si tiene nel 1962 e l’anno successivo Ferrero ottiene ufficialmente il lavoro.

Da quel giorno in avanti è iniziato un lungo percorso che lo ha portato ad avvicinarsi alle persone che avevano fatto e che stavano facendo l’Einaudi. Lalla Romano, Claudio Magris, Carlo Fruttero e Franco Lucentini, lo stesso editore, Giulio Einaudi, sono solo alcuni dei nomi che potremmo tirare fuori da quel calderone di esperienze professionali e relazionali che Ernesto Ferrero ha vissuto nell’ufficio in via Biancamano. Ma ci sono anche Primo Levi e Giulio Bollati, a lui molto cari e da lui molto ammirati.
Da una simile storia e da un simile ribollire di professionalità ed eclettismo Ernesto Ferrero è diventato una figura poliedrica. Autore, traduttore, Presidente del Centro Studi Primo Levi di Torino, Direttore del Salone del Libro di Torino, collaboratore di varie testate giornalistiche e di alcuni programmi culturali della RAI. Queste sono solo alcune delle etichette che lo contraddistinguono.
Ernesto Ferrero ha uno spiccato gusto per la storia e le grandi figure illustri del passato, a volte anche poco conosciute. Nel 2000 vince il Premio Strega con il suo N., pubblicato per Einaudi, un romanzo che si propone di raccontare il ‘soggiorno’ di Napoleone all’isola d’Elba, il tutto filtrato dal resoconto che ne fa il suo bibliotecario in un diario. Sempre legato alla figura di Napoleone è Elisa, un monologo teatrale dedicato alla di lui sorella, granduchessa di Toscana, pubblicato per Sellerio.
E la passione per la storia Ferrero l’ha coltivata inalterata fino ad oggi. È di recente pubblicazione Francesco e il Sultano, una sorta di compendio narrativo-biografico su Francesco d’Assisi, a partire da un evento le cui circostanze sono ancora poco note. Nel 1219 Francesco era fuori le mura di Damietta, assediata dalle forze crociate, e, contro ogni logica, decide di superare le linee nemiche insieme a frate Illuminato, per conferire col Sultano al-Malik al-Kamil. I due avrebbero discusso a lungo e in pace dei punti in comune delle due religioni, grazie anche all’intervento di sufi saraceni.

Di questo evento tuttavia esistono diverse rappresentazioni, una delle quali pittorica, quella delle pareti della Basilica superiore d’Assisi. Su di esse viene raccontato un episodio simile a quello delle vite dei santi, un Francesco che sfida i sacerdoti saraceni a buttarsi nel fuoco con lui per confrontare la forza e la verità delle due fedi. I sacerdoti sarebbero fuggiti, consapevoli che la loro fede fosse una menzogna e Francesco si sarebbe proposto di entrare lo stesso nel fuoco per convertire al cristianesimo il Sultano. La rappresentazione pittorica, attribuita a Giotto, prende spunto dalla biografia scritta dal Ministro Generale dell’Ordine, Bonaventura da Bagnoregio (Vita del Beato Padre Francesco). Questa biografia, all’epoca (1263), viene adottata come unica fonte veritiera della vita del santo, bandendo tutti i testi precedenti.
Francesco e il Sultano non si propone di dare una versione assoluta o veritiera della vita di Francesco quanto piuttosto di indagare il concetto di identità e la contrapposizione tra verità e menzogna, la manipolazione della prima e l’affermarsi della seconda come unico strumento di lettura del reale.
Che cosa era questa smania di primeggiare, di distinguersi? Era così difficile non ritenersi migliore degli altri e dunque meritevole di speciali distinzioni? Gli uomini sono condannati a restare degli eterni cuccioli, incapaci di rinunciare ai loro appetiti elementari? Gli stessi compagni che davanti a Francesco si mostravano amabili e deferenti, sparlavano alle sue spalle e interpretavano la Regola ognuno a modo suo. Poiché la menzogna è il vizio di molti, si finiva per non credere alla sincerità di pochi, rifletteva Tommaso.
Come racconta lo stesso Ferrero nella nota al testo, la storia di Francesco e il Sultano nasce ben quindici anni fa quando l’autore incontra, a un premio letterario sul Lago di Garda, un certo padre Michele Piccirillo, responsabile della Custodia francescana in Terra Santa. Sarà lui a raccontargli dell’incontro del santo con il Sultano e delle sue rappresentazioni nel mondo artistico e religioso. La Storia che si fa sottile e si trasforma in storia.

Tema, questo, molto caro a Ernesto Ferrero. Ne abbiamo un’altra testimonianza nel suo Cervo Bianco, uscito nel 1980 per Mondadori e poi, vent’anni dopo, rielaborato e pubblicato per Einaudi nella collana dei Supercoralli con il titolo L’anno dell’indiano. Anche qui vediamo come il racconto dell’arrivo nel vecchio continente, e in Italia, del capo indiano White Elk, Cervo Bianco, in realtà Edgar Laplante, diventi non solo il punto centrale delle vicende narrate ma anche scusa per raccontare la Storia. In questo caso è difficile scegliere a quale storia mettere la “s” maiuscola, visto che con le sue azioni Cervo Bianco si è ritagliato, durante il soggiorno italiano, uno spazio non solo nella società che contava, ma anche nel cuore degli italiani, tanto da essere insignito della carica di fascista ad honorem. E proprio come il fascismo è poi capitolato, sotto il peso della menzogna che portava avanti. Curioso, alla fine della vicenda, l’apparire di un giovanotto, un certo Mila, Massimo Mila, collega di Ernesto Ferrero in Einaudi, che era stato in carcere — perché antifascista — alle Nuove, dove aveva incontrato proprio il sedicente capo indiano, ormai condannato dal tribunale di Torino.
Ernesto Ferrero è la testimonianza concreta che la storia di Einaudi e di Torino è una storia lunga, intrecciata, che continua ancora oggi e alla quale si stanno aggiungendo tanti tasselli diversi che sulle spalle dei giganti del passato costruiscono un nuovo presente e un nuovo futuro, nel bene e nel male.
-Davide & Marco
La tappa del prossimo mese di EinaudiTO è dedicata a un’altra grande figura del percorso einaudiano-torinese, Fernanda Pivano. Avete già scelto cosa leggerete? Vi ricordiamo che può essere un volume di qualsiasi casa editrice, scritto dalla Pivano o a lei dedicato.
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