Com’è il detto? Le cose belle vengono sempre in coppia? Forse ricordo male qualche altro proverbio però con Visa Transit è il caso di dirlo. Quello uscito per Eris Edizioni è il primo di due fumetti del francese Nicolas de Crécy. L’autore è uno dei grandi maestri del fumetto francese ed Eris ha portato in Italia anche altre sue opere, Il celestiale Bibendum, La Repubblica del catch, Diario di un fantasma e Prosopopus.
Visa Transit è la storia di un viaggio. È l’estate del 1986, il disastro di Chernobyl ha da poco invaso i notiziari e i giornali di tutto il mondo quando Nicolas de Crécy e suo cugino, Guy, decidono di partire a bordo della Citroën Visa dello zio per un viaggio verso est. L’obiettivo è quello di arrivare almeno a Istanbul ma le ruote del vecchio macinino li porteranno ben oltre. Così i ragazzi, trasformata la Visa in un simulacro domestico, partono alla volta della loro prima tappa, l’Italia. E da lì poi, attraversando le frontiere col timore perenne e irrazionale di venire fermati, guideranno per le strade della Jugoslavia, della Bulgaria, fino ad arrivare alla Turchia. Il Visa del titolo custodisce al suo interno un duplice riferimento. Quello all’automobile che nonostante gli acciacchi – forse grazie anche alla Madonna – non li tradisce mai e quello al visto, che in francese si dice proprio visa.
De Crécy e il cugino partono per un viaggio che non è solo spaziale ma anche temporale. La storia stessa, che è autobiografica, è raccontata dall’autore in retrospettiva, lasciando alla memoria la libertà del ricordo dell’avventura col cugino frammisto ad altri ricordi di infanzia, come quello della sua esperienza di bambino in una colonia di un paesino dell’Alta Loira. Mentre i due viaggiano a bordo della Visa, tocchiamo fuggevolmente la storia dei paesi che attraversano, a partire dalla calamità nucleare del disastro di Chernobyl che sta al centro esatto della storia e da cui si dipanano tutte le avventure dei ragazzi, come un sasso lanciato nell’acqua.
Nicolas e Guy, come due novelli Ulisse al contrario – si allontanano dalla patria, da casa, non cercano ancora il ritorno – che si rispettino hanno degli strumenti magici, dei feticci, simboli del loro viaggio. La Visa in primis ma anche lo zaino rosso, al cui interno ci sono tutti i loro soldi e i loro documenti, la biblioteca improvvisata di letteratura francese che montano all’interno dell’automobile e il Radar 2000, un gioco da tavola ormai sconosciuto che sistemano sul cruscotto per dare alla Visa un tocco da navicella spaziale. Hanno perfino un nume tutelare, nella forma di Henri Michaux, poeta belga autore di Altrove (Quodlibet) e Trave angolare (Liviana) – citati a più riprese nel testo – che si intromette più volte nel corso della narrazione.
De Crécy affida al lettore una piccola diapositiva dell’Europa dell’epoca, raccontando di cosa significasse viaggiare in un periodo storico in cui il turismo di massa e low cost non si era ancora diffuso; e lo fa mescolando toni freddi e caldi, assecondando la natura dei luoghi attraversati. I due ragazzi cercano l’avventura e vivono la strada col solo filtro della loro Visa (hanno una macchina fotografica ma si scordano presto di farne utilizzo) in un simpatico inno alla giovinezza e, perché no?, a una moderata sventatezza.
Visa Transit, questa prima parte, lascia una gran voglia di scoprire dove gli pneumatici della Visa porteranno ancora i cugini. Per il momento assaporiamo la brezza di una spiaggia sul Mar Nero e ripensiamo a tutti i viaggi che abbiamo fatto e che faremo, nel tentativo di costruire un castello di ricordi tanto bello e formativo quanto quello che disegna e racconta Nicolas de Crécy.
-Davide