Tutti i racconti di Kurt Vonnegut: lo scrittore prima del romanziere

Per la casa editrice Bompiani, che proprio quest’anno festeggia il suo novantesimo compleanno, è uscita una di quelle mastodontiche raccolte di racconti imperdibile per tutti gli amanti di letteratura americana. Si tratta di Tutti i racconti di Kurt Vonnegut, affidato alla capacissima curatela di due amici dell’autore, prima ancora che studiosi e intellettuali, Jerome Klinkowitz e Dave Wakefield. I due firmano le note di apertura a ciascuna sezione del volume e l’introduzione alla raccolta, accompagnata da una prefazione del celebre autore Dave Eggers. La traduzione dell’edizione italiana è di Vincenzo Mantovani e si presenta in questo volume dalla dimensione gargantuesca in una copertina rigida color sabbia.

Kurt Vonnegut è conosciuto soprattutto per i suoi romanzi –chi non ha sentito parlare di Mattatoio n. 5? – ma prima ancora di dedicarsi alla forma romanzo, scrive e pubblica moltissimi racconti per altrettanto numerose riviste americane. I curatori del volume hanno attinto a tre fonti in particolare: i racconti, per l’appunto, pubblicati su riviste, quelli completati ma mai pubblicati, vuoi perché mai sottoposti all’attenzione di una redazione, vuoi perché rifiutati, e, infine quelli completati e pubblicati esclusivamente sui giornali tra il 1941 e il 2007. Nelle sue storie, l’autore di Indianapolis racconta della sua epoca. Parla di guerra, di cui ha avuto un’esperienza di prima mano partecipando alla seconda guerra mondiale, di amore, di comunità e di tutti quegli elementi che brulicano al di sotto della società borghese americana di quel periodo.

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Uno dei temi più cari allo scrittore e anche una delle sezioni narrative in cui è stata suddivisa questa raccolta è la guerra. Kurt Vonnegut rigettò sempre la guerra, fu uno dei primi scrittori dell’epoca a dichiararsi convintamente pacifista e a fare della necessità della pace per il bene del paese un manifesto politico e culturale. Quello che fa nei racconti, ma anche nei romanzi, è parlare di guerra in modo molto astratto. Vonnegut aveva avuto esperienza bellica durante la seconda guerra mondiale, ma si trattò di un’esperienza molto breve, perché, alla fine del 1944, la squadra di cui faceva parte venne catturata nella battaglia delle Ardenne, così per cinque mesi visse da prigioniero a Dresda. Piuttosto che descrivere cruente scene di battaglia, Vonnegut si getta a capofitto nella narrazione bellica indiretta, come in Tutti i cavalli del re, dove la battaglia non è reale ma si svolge su una scacchiera in cui solo le conseguenze delle mosse dei due giocatori sono reali e drammatiche tanto quanto quelle di una vera battaglia. Anche per questo è quando si parla di guerra fredda là dove riesce meglio, convogliando il grande senso di ansia che all’epoca la possibilità di un scontro nucleare suscitava nelle persone. Una possibilità astratta e potenziale ma allo stesso modo molto reale.

Ma mentre nei racconti dedicati alla guerra si potrebbe dire che i valori lì contenuti siano universali, nelle altre sezioni della raccolta, la vera protagonista delle storie è quel pubblico al quale Vonnegut si proponeva effettivamente di parlare: la borghesia americana. Lo scrittore non era interessato a comunicare, in una sorta di dialogo ristretto a poche voci, con i profili culturali più elevati dell’epoca, bensì voleva comunicare a quante più persone possibili. Raggiungere una comunità di lettori vastissima. Perfino nei racconti fantascientifici la società borghese americana si mescola prepotentemente alla scienza e alla critica di un uso scorretto e capitalistico che se ne potrebbe fare. In Eufio, quando i tre protagonisti si riuniscono in casa con le rispettive famiglie per testare il marchingegno elettronico che dona felicità alle persone, nell’abitazione irrompono, letteralmente, uno dopo l’altro i personaggi che gravitano attorno alla famiglia americana tipo dell’epoca: il lattaio, i boy scout, il poliziotto stradale… la tecnologia in questo senso non cambia la realtà delle cose, dona solo strumenti nuovi per amplificarla all’uomo comune.

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Kurt Vonnegut, al centro, prigioniero di guerra in Germania

Quando si parla di borghesia americana si intendono anche gli sviluppi sociali che la tecnologia e la nascita dell’industria aziendale caricano su quelle stesse famiglie alle quali Vonnegut voleva arrivare. Così l’autore esplora approfonditamente anche quel dilemma morale di fronte al quale i giovani dell’epoca si trovavano. Per poter mantenere la propria famiglia dovevano abbandonare i loro sogni e una carriera probabilmente poco redditizia per gettarsi nelle fauci meccaniche delle fabbriche delle grandi aziende che promettevano un lavoro stabile, un’assicurazione sanitaria dignitosa e un buon pasto caldo tutte le sere a cena? Anche se questo comportava vivere una vita di infelicità e oppressione? Questo discorso è ben riassunto ne Il cervo nella fabbrica, il protagonista, David Potter, sceglie di abbandonare il giornale che aveva fondato per garantire un flusso economico sicuro alla sua famiglia, sempre più numerosa. Il dilemma di David, quello di scegliere tra libertà e oppressione, viene incarnato da un cervo che rimane intrappolato nei cortili della enorme azienda per cui David sceglie di lavorare. Cosa deciderà di fare il giovane? Assicurarne la cattura e successiva macellazione o aprirgli i cancelli per la pineta circostante e liberare l’animale, oltre a se stesso?

Dentro c’erano file e file di donne sedute su panche che dondolavano la testa a tempo di musica e tuffavano dei saldatori in grandi nidi di fili colorati che passavano lentamente davanti a loro su nastri senza fine. Una di esse alzò lo sguardo, vide David e gli fece l’occhiolino a tempo di tango. David fuggì.

La prosa di Vonnegut è delle più semplici e immediate, rimane fedele alla dichiarazione di intenti dell’autore di parlare a un pubblico il più vasto possibile. I salotti letterari son da evitare e infatti, leggendo questi suoi primi componimenti che lo hanno impegnato grosso modo fino al 1968, pare evidente che non ci sia spazio per l’autoreferenzialità e altre leziosità di fronte alle quali a volte altri autori soccombono.

Leggere Vonnegut, i suoi racconti in particolare ma lo stesso vale per i romanzi, significa abbracciare con un tomo di più di mille pagine tutti i problemi, i cambiamenti, le guerre della società americana della prima metà del Novecento e oltre. Ogni racconto nasconde un dettaglio in più, una prospettiva addizionale, a dilemmi che sono prettamente morali e che almeno nell’ottica dell’epoca e della visione letteraria di quel periodo storico necessitano di una risposta salda e decisa. Vonnegut è uno sperimentatore, non tanto di linguistica e di genere, quanto di campionario umano.

-Davide

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