#SalTo19: gli eventi, gli autori, i libri. Quando la cultura si fa dialogo.

Del Salone abbiamo già tirato le somme a livello emotivo, ma la fiera è stata anche un’importante occasione culturale di dibattito e riflessione. Gli eventi erano tantissimi e noi abbiamo fatto del nostro meglio per ottenere il dono dell’ubiquità e sentire questa o quella conferenza. Potremmo dire grossolanamente che sono tre i filoni narrativi del Salone che abbiamo seguito. Tre filoni molto diversi tra loro ma che si sono intrecciati strettamente nei cinque giorni di festa.

Primo fra tutti quello dedicato agli eventi su Primo Levi che, proprio quest’anno, avrebbe compiuto cent’anni. E del poliedro Primo Levi se n’è parlato molto, esplorandone tutte le facce. Conosciamo il Primo Levi scrittore, il testimone degli orrori dei lager nazisti e dell’Italia fascista, ma non si sente spesso parlare del Levi chimico, il suo ‘vero’ lavoro, del Levi naturalista o di quello antropologo (per leggere qualcosa di diverso di questo autore si può fare riferimento ai bellissimi racconti de Il sistema periodico – Levi qui analizza l’animo umano come se leggesse una tavola periodica degli elementi- o de Ranocchi sulla luna –la chiave di lettura qui è il mondo animale-). Uno dei discorsi più completi, che in certa misura sfiora tutte le facce del poliedro, è il Levi del dialogo. Primo Levi ha sempre cercato il dialogo con ogni tipo di interlocutore possibile, nulla lo fermava. Il dialogo che promuoveva è quello che instaura un processo positivo nell’interlocutore, aiutandolo a sua volta a dialogare con se stesso. E la disponibilità al dialogo è certamente difficile e costosa ma è soprattutto con chi è diverso da noi che questo risulta più produttivo. Prerequisito fondamentale è però che il dialogo sia sempre razionale, senza la ragione come terreno di confronto non è possibile scatenare una discussione.

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Halina Birenbaum, sopravvissuta ad Auschwitz, ha ricordato Primo Levi

Ma la lezione all’accoglienza del diverso di Primo Levi è trasversale. Così non stupisce il fatto che uno dei segmenti principali della rassegna de L’Autore Invisibile, la rassegna dedicata al traduttore, portasse il titolo di ‘Tradurre come lezione di accoglienza’, in un passaggio simbolico di staffetta tra un evento e l’altro. Una grossa fetta di questi eventi era dedicata alla lingua spagnola, la lingua ospite di questa edizione del Salone. Così abbiamo sentito parlare dell’uso dei pronomi nella lingua spagnola, di traduttori e revisori che dialogano in una danza di mutuo rispetto per creare la traduzione perfetta, o almeno la migliore possibile, dell’importanza del ritradurre un classico, per rinnovare la comprensione di un testo che deve seguire i mutamenti della lingua. Un concerto di più parti che vedono la figura del traduttore come perno fondamentale dell’industria editoriale. Uno degli eventi più stimolanti di questa rassegna è stato quello con Juergen Boos, il direttore editoriale della Buchmesse di Francoforte, la fiera più importante delle professioni dell’editoria che mette a confronto i vari protagonisti del settore in un dialogo a più voci che non ha eguali al mondo. Al di là degli esempi virtuosi in fatto di promozione della lettura, Norvegia in testa, il nucleo del discorso, quello che è emerso scavando a fondo, è stata l’importanza della diversità in ambito editoriale e l’importanza che fiere e saloni hanno nel favorire e promuovere questa diversità. Da qui la necessità di partecipare a questi eventi, tassello fondamentale soprattutto per chi vuole lavorare in questo campo spesso caotico, in cui è difficile intrecciare relazioni umane.

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Uno degli incontri de L’Autore Invisibile. Foto di Ilide Carmignani

L’altro filone narrativo, l’ultimo, è quello dei grandi eventi, quelli che attirano sempre un sacco di persone e che assicurano code così lunghe che una volta seduto in sala ti scricchiolano le ossa per la vecchiaia. Con Viet Thanh Nguyen, vincitore nel 2016 del Premio Pulitzer con il suo romanzo d’esordio Il simpatizzante, e Antonio Scurati si è parlato molto di storia e dei punti di vista a partire dai quali narrarla. In particolar modo ne Il simpatizzante viene affrontato un tema, la guerra del Vietnam, tema che tendenzialmente ha sempre avuto una sola narrative, da un punto di vista diverso, quello di una spia in bilico tra due mondi. Un personaggio ambiguo per evitare di cedere alla tentazione di dare alla storia una chiave di lettura moralistica.

E poi… poi è stato evocato lo spirito di J.D. Salinger. Non tanto quello dello scrittore e del narratore quanto quello di uomo e padre, un punto di vista, per tornare al discorso di prima, che svela qualcosa di diverso. Così Matt Salinger ha raccontato dell’uomo che tanti conoscono per i suoi romanzi, in una bellissima chiacchierata con Loredana Lipperini. Un rapporto complesso, quello fra artisti e figli d’arte, ma che, almeno in questo caso, è sempre stato di presenza. Quando Matt aveva bisogno del padre, lui era lì, uno scrittore che prima di essere scrittore era essere umano. Per comprendere la carica emotiva dell’evento basti pensare che al momento delle domande una donna si è alzata in piedi e ha rivelato di aver scambiato una fitta corrispondenza con J.D. Salinger e che questo ha significato molto per lei. Una coincidenza che ha dell’incredibile, visto che non tutti quelli che erano in fila sono poi riusciti effettivamente a entrare.

Sul finire della penultima giornata del Salone, in una tradizione che è iniziata almeno durante la trentesima edizione, abbiamo assistito a una lectio di Wole Soyinka, Premio Nobel per la letteratura nel 1986. Tradizione perché gli anni scorsi il Salone aveva già portato dei Premi Nobel, occasione imperdibile di sentire dei giganti del pensiero. L’incontro non è stato soltanto l’opportunità per presentare il libro Ode laica per Chibok e Leah, pubblicato per la casa editrice Jaca Book, ma anche per parlare in una condensatissima ora dell’abuso del potere e delle religioni, di schiavitù antica e moderna, di migrazione. Quest’ultimo tema in particolare, considerato il periodo storico in cui viviamo, dà da pensare. La migrazione è una forma di schiavitù moderna, una forma volontaria, certo, ma pur sempre terribile. Le colpe? Sono da ricercare da entrambe le parti, governi africani e paesi occidentali, quelli che dovrebbero accogliere e non chiudersi su loro stessi.

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Al Salone si sono dette tante cose, cose importanti, difficili da riassumere qui. Basti pensare alla lectio inaugurale di Fernando Savater, sullo stato dell’identità europea, anticipata dalla testimonianza di Halina Birenbaum, una degli ultimi sopravvissuti ad Auschwitz, oppure all’omaggio a Fruttero&Lucentini (di cui sentirete parlare su questo blog presto) e a quello a Finnegan’s Wake, con Pedone e Terrinoni, traduttori a quattro mani.

In linea col discorso odierno si è parlato anche di sostenibilità. Al Salone è stato presentato Il prossimo passo, che si inserisce nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile approvata dalle Nazioni Unite nel 2015. Con il Board di Sostenibilità multi-stakeholder vengono poste le basi per la futura sostenibilità del Salone, proponendo azioni e idee per sensibilizzare gli individui. Il progetto nasce dall’iniziativa di Maurizia Rebola, direttrice della Fondazione del Circolo dei Lettori, insieme a Silvio Viale, Presidente dell’Associazione Torino, la città del libro.

Ancora una volta il Salone Internazionale del Libro di Torino, così come la città e il territorio, si sono dimostrati un luogo catartico e centrale per quella cosa chiamata dialogo. Uno scambio di idee, una riflessione su noi stessi che deve sempre affondare le sue radici nella ragione, nella parte logica della mente umana.

-Davide & Marco

3 pensieri su “#SalTo19: gli eventi, gli autori, i libri. Quando la cultura si fa dialogo.

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