“Io ho fame!” Calafiore di Arturo Belluardo: intervista con l’autore

Quest’anno stiamo riscoprendo sempre più la letteratura contemporanea italiana, che nell’ultimo periodo sembra aver trovato un nuovo fermento. Come al solito però, non seguiamo il percorso della pura narrativa fine a se stessa, ma ci inoltriamo nella selva oscura del genere, del diverso. E cosa c’è di più diverso se non un impiegato bancario dalla fame invereconda che si identifica con Galactus?

Questo è in soldoni Calafiore di Arturo Belluardo, edito Nutrimenti. Con l’autore abbiamo avuto il piacere di parlare durante il Salone Internazionale del Libro di Torino. Calafiore,  pardon, Giuseppe Calafiore, o meglio Pino, Pinuccio, Pinù, Culoafiore, come lo chiamano in tanti. Condannato a un’esistenza da obeso grave, mostruoso, passa le sue giornate nel caveau della banca in cui lavora, da buon ragioniere (che poco ha in comune con l’altro famosissimo ragioniere, Ugo Fantozzi) per poi tornare a casa dalla compagna Serena e dalla figlia Giada, sedersi sul divano e guardare show televisivi dedicati al cibo e alla cucina.

Arturo Belluardo
Arturo Belluardo oltre a Calafiore ha anche scritto Minchia di mare.

La domanda di rito, un po’ alla Gigi Marzullo riguarda quanto di Calafiore c’è a tutti gli effetti nell’autore. Belluardo ha rivelato che c’è moltissimo di lui nel suo personaggio, che anche lui ha combattuto contro l’obesità e che finalmente è riuscito a vincere questa battaglia, perdendo molto peso. Quello che però lo interessava di più era raccontare degli ultimi, parlare del tutto attraverso gli occhi del perdente. D’altronde, dice sempre Belluardo e noi non possiamo che confermare, il sentimento dell’inadeguatezza è stato ed è il più grande motore della letteratura. Se in Minchia di mare questo era dovuto al rapporto tra padre e figlio, in Calafiore tutto si riduce alla relazione che questo personaggio ha con il cibo, con questa ossessione. Da un lato c’è l’uomo obeso, inadeguato, dall’altro lo stereotipo che viene propinato dalla società, o meglio, dalla televisione di un certo calibro, che porta avanti il modello di uomo potente, attraente e prestante.

Nel libro il narratore è anche protagonista, Calafiore, racconta di sé ai due aguzzini che lo hanno rapito. Non conosciamo ancora i loro nomi, per il momento per Pino sono una Cersei e un Kurt Kobain siciliani. Lo hanno rapito, legato, e sono pronti a vendicarsi puntandogli addosso le telecamere e lo schermo di un Iphone. Decidono però di dargli una possibilità: come una moderna Sherazad dovrà raccontare la sua vita e le peripezie che lo hanno portato a Montecarlo, luogo in cui Calafiore si è sacrificato per guadagnare un’assoluzione, un avanzamento nella catena alimentare dell’umanità.

La vicenda dei due aguzzini è stata aggiunta in un secondo momento: Belluardo infatti lavora per scene, se fosse per lui scriverebbe solo scene. In effetti Calafiore sembra uno di quei film a episodi dove diverse vicende finiscono per collegarsi tra loro e dove il tutto diventa più della somma delle singole parti. Parlando del metodo di scrittura, l’autore racconta di quanto lo scrittore spesso sia un disadattato, qualcuno che non si piega ai meccanismi di potere e che cerca una chiave di lettura sempre personale. Belluardo scrive in modo disordinato, per trovare un ordine soltanto in fase di post-produzione. Calafiore era partito come romanzo comico e grottesco che doveva avere come protagonisti Stanlio e Ollio nello studio di un dietologo. Ma poi la storia è mutata e l’autore ha intrapreso un percorso esclusivamente letterario, di lavoro sulla lingua, che lo ha portato a riscrivere alcune parti numerose volte.

Le avventure che fanno di Calafiore Calafiore sono fuori di testa. Dalle diete fallite ai medici cinesi dall’agopuntura facile (fatto realmente accaduto), dai beveroni dall’odore nauseabondo al dietologo delle star che si rivela un truffatore al limite dei santoni delle sette ipersalutistiche (alla stregua di Mario Pianesi, re del macrobiotico). Ma non c’è solo la fame di Calafiore, che lo mangia da dentro e scandisce tutte le sue ore, ci sono anche le sue debolezze, le sue paure. Il peso che si porta addosso non è meramente fisico.

[…] signora segletalia, può perfavore chiedere al dottore cosa devo fare adesso per il mantenimento?” La donna si rivolse al dottore che sollevò due dita davanti al viso […] e parlò: ” Se mangia, glassa. Se no mangia, no glassa”.

Arturo Belluardo riesce a delineare Calafiore con pochissimi tratti, lo associa a Galactus, eroe dei fumetti che divora pianeti e lune e ha sempre fame. Di Galactus lui va matto, ha il poster che campeggia sulla postazione di lavoro ed è proprio grazie alla passione per i fumetti che consocerà Serena.

galactus_by_rammkap_daby8hr-pre
Galactus. Illustrazione di Rammkap

Non possiamo non empatizzare con il protagonista, eroe moderno e sgangherato,vittima delle circostanze, di se stesso, degli altri che si prendono gioco di lui e di chi tiene sotto scacco il tutto tramite un sistema di scatole cinesi.

E proprio questo è quello che Arturo Belluardo si era prefissato: da frequentatore degli ambienti pop (come la fumetteria Forbidden Planet di Roma, che appare anche nel romanzo), è convinto che l’oggetto odierno della narrazione deve essere frutto del ‘rimasticamento’ tra alto e basso. Ci porta alla mente un’immagine, un gorgo sul Tevere, visibile dal ponte dell’isola Tiberina. Tra due correnti si forma una risacca, che intrappola al suo interno detriti, e proprio in questo gioco di detriti l’autore vede il possibile della narrazione. Entra in gioco anche il linguaggio, imprescindibile, che porta con sé un’importanza unica.

L’immaginario è ricchissimo: oltre a Cannavacciuolo, Carlo Conti, Benedetta Parodi, Sylvie Vartan, c’è la ministra Beatrice Lorenzin, che fa battere il cuore del nostro Calafiore e che è stata protagonista di una delle scene che più hanno divertito l’autore. Quello che però ci ha fatto esclamare nous sommes Calafiore è il tormentone di Cinzia Leone di Avanzi che, nei panni della signorina Vaccaroni  parla di pizza di fango del Camerun. Lì è scoccata la scintilla.

Un’altra cosa che salta all’occhio è la dedica all’inizio del romanzo: a Giulia Caminito e Paolo Villaggio. Nel primo caso la dedica ha un valore affettivo, nel secondo caso Arturo Belluardo la dedica l’ha scritta per un altro motivo. Perché Paolo Villaggio è stato uno dei primi a non farsi problemi nel parlare dei suoi disturbi alimentari, come la bulimia, in un’epoca in cui sembrava impossibile poterne parlare.

[…] è bellissimo papà, li pvendono tutti a tovte in faccia, quelli hanno una benda come a moscacieca e poi devono capive la tovta leccandola”. Ecco, io me ne ero accorto che avevo preso una torta in faccia, ma non pensavo che fosse la pizza di fango del Camerun. Anzi, proprio una palata di letame bio dritta verso di me.

Se vi sembrano citazioni troppo poco colte è bene ricordare che si trovano anche le atmosfere di quel capolavoro che è “Improvvisamente l’estate scorsa“, film tratto dalla pièce di Tennessee Williams. E si trova anche l’amore per il cinema italiano alla Ruggero Deodato, che si mischia al pulp più classico da rivista di brividi a buon mercato.

E poi, e poi la sicilianità ha un ruolo rilevante. Proprio Belluardo ci tiene a ricordare che il suo primo romanzo, Minchia di mare è un omaggio alla sua patria. Inoltre l’autore si è reso conto che il linguaggio siciliano che lui usa non è quello di oggi, ma quello della sua adolescenza. Siracusano, ha lasciato la città a 19 anni, e al suo ritorno, qualche tempo fa per la presentazione del romanzo, gli è stato fatto notare che il suo è un siciliano di altri tempi, che adesso non si trova più (un po’ come il siciliano di Camilleri, o per fare un altro paragone, il siciliano di Verga).

Tirando le somme, Calafiore cos’è? È un libro sul cibo? Anche. Soprattutto, è un libro sul rapporto con la fame, intesa come voglia di cibo e di successo. Ma è anche un libro su quanto spesso purtroppo ci si ritrovi a essere vittima di noi stessi. L’unica soluzione è smettere di vestire i panni di supereroe sfigato e forse è proprio da questo spogliarci di tutto che si raggiunge il nirvana.

Calafiore di Arturo Belluardo è un satellite nella letteratura italiana contemporanea. Ha tutte le carte per diventare centro gravitazionale nel panorama letterario odierno, anche solo per lasciare il segno di un morso nella grande torta del mondo della scrittura.

-Davide & Marco

Un pensiero su ““Io ho fame!” Calafiore di Arturo Belluardo: intervista con l’autore

  1. Pingback: “Io ho fame!” Calafiore di Arturo Belluardo: intervista con l’autore — – Radical Ging – | l'eta' della innocenza

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.