Agatha Christie, Sophie Hannah & Il mistero dei tre quarti

Sembra soltanto ieri quando i nasi dei fan della regina del crimine si sono storti all’unisono, in un gesto di sdegno, dopo aver letto che l’investigatore belga più famoso del mondo sarebbe tornato in vita su carta grazie alla penna della scrittrice di thriller Sophie Hannah. Non tutti però si lasciarono andare a esclamazioni ed esternazioni estremiste (ricordiamoci che spesso la rovina di determinati libri, film, fumetti, e tanto altro, sono i fan stessi, chiusi nel loro dogmatismo). Tanti altri sono rimasti incuriositi, tanti altri estasiati dalla possibilità di leggere ancora del nostro caro Hercule Poirot, l’uomo dalle celluline grige più veloci del mondo.

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Sophie Hannah

Da che parte ero io? Ero, e sono tuttora, entusiasta: non solo potevo vivere l’attesa di un nuovo libro di “Agatha Christie“, cosa che per dettagli anagrafici non mi è stata possibile, ma potevo addirittura godermelo e mettermi lì, come un investigatore, a vedere dove la produzione di Sophie Hannah prendeva a piene mani dal mondo nato dalla penna di Agatha e dove invece sceglieva di prendere le redini del gioco e dare una propria direzione a personaggi che ormai sono scolpiti nell’immaginario collettivo.

Quindi, sin dall’uscita di Tre stanze per un delitto (The Monogram Murders in inglese), passando poi per La cassa aperta (fun fact: in inglese si chiama Closed Casket, la cassa chiusa. Chissà perché!), ho sempre letto questi libri senza vestire i panni dell’Inquisitore Spagnolo, cercando di godermeli il più possibile. Ma come mai si è arrivati a pubblicare nuovamente libri con la firma Agatha Christie? Perché si è scelta un’autrice come Sophie Hannah (poco conosciuta in Italia, ma grande best seller nel mondo anglofono)?

Da un lato per pura volontà di far capire alla gente, ai lettori, che l’eredità letteraria di Agatha Christie (di genere e non) è più forte che mai. Che mai come oggi la penna, i personaggi, le riflessioni sulla natura umana e su cosa spinge una persona a compiere determinate azioni sono attuali, quindi è più che normale vedere delle nuove variazioni sul tema (d’altronde non abbiamo storto il naso alle nuove serie tv che mettono ai giorni nostri personaggi come Sherlock Holmes, o mi sbaglio?)

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Sophie Hannah e Mathew Pritchard, il nipote di Agatha Christie. Lui detiene personalmente i diritti di Trappola per Topi, lo spettacolo teatrale che viene messo in scena ogni giorno continuamente da 64 anni.

Dall’altro lato, il semplice fatto che, come da grandi poteri derivano grandi responsabilità, da grandi nomi ed etichette deriva una determinata percezione. In quanti, soprattutto in terra nostrana, collegano il nome di Agatha Christie all’immagine di un Cluedo? Dove finisce l’efferatezza dell’omicidio, non tanto dell’esecuzione in sé, ma dell’azione e del sistema di valori morali e non che spingono il killer a compiere il delitto? Tutto questo viene spazzato via dall’etichetta Giallo, che diventa semplicemente un sinonimo per “una lettura leggera, tranquilla“. Ma siamo tanto sicuri che ci sia qualcosa di sicuro e tranquillo nei libri di Agatha Christie? Non è questa la sede per discuterne, ma possiamo giungere a una conclusione che vi farà capire come la penso: NO, niente è calmo e sicuro nelle opere della Christie.

Ed è qui che entra in gioco Sophie Hannah. Con uno stile di scrittura totalmente diverso, improntato sul crimine psicologico con un ritmo veloce, spesso frenetico, che si dipana tutto intorno a un’idea tanto strana e impossibile quanto curiosa e degna di attenzione. Non ci ricorda proprio qualche autrice che conosciamo?

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L‘Agatha Christie LTD., l’azienda guidata dai successori della Christie stessa, detiene tutti i diritti delle opere originali e di quelle derivate dalla mano di Agatha. Un fardello non di poco peso, che li ha portati a testare il terreno in diversi campi per raggiungere sempre più persone, possibilmente giovani, e far capire al mondo che c’è molto di più dietro al marchio Christie: qualche anno fa hanno provato a creare un gioco/applicazione che girava intorno alle storie di Mr. Quin, hanno portato nuovamente sul piccolo e grande schermo degli adattamenti delle opere più conosciute con più o meno buoni risultati (sicuramente positivi per quanto riguarda i botteghini).

La scelta di dare il compito a Sophie Hannah è stata tanto sorprendente quanto oculata. Nel primo libro, Tre stranze per un delitto, troviamo Poirot alle prese con un delitto apparentemente impossibile in un noto hotel di Londra. Ci viene presentato l’ispettore Edward Catchpool, l’Hastings della situazione, e la giovane Euphimia Spring, detta Fee, cameriera nella Coffee House dove viene servito il miglior caffè di Londra (a detta di Poirot). In questo volume troviamo una cosa che ci è molto familiare, ovvero il tipo di enigma che ci viene proposto, cosa che un po’ ci fa rimanere a bocca asciutta. Lo stile di Sophie cerca di adattarsi a quello di Agatha, riuscendoci qua e là ma rimanendo purtroppo acerbo. Ogni volta che sentiamo parlare Poirot, ci ritroviamo con un pastiche del suo personaggio: troppe parole in francese, il suo broken english sembra troppo costruito (cosa che, in realtà, dovrebbe accontentarci: era proprio quello che faceva Agatha, ma con una resa decisamente meno deludente).  Il mistero alla fine è abbastanza intrigante, e fa passare sopra alle varie “stonature”.

È nel secondo volume però, La cassa aperta, che Sophie mette le carte in tavola, e lo fa in un gioco di prestigio che mette la polvere negli occhi sorprendendo in maniera positiva.

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Aiuto, Poirot! Sembra esclamare Lady Athelinda Playford, una scrittrice di libri per bambini, che invita l’investigatore belga e l’ispettore Catchpool nella sua dimora irlandese. Insieme a loro, tutta la famiglia dell’autrice, che annuncerà la decisione di modificare il proprio testamento.

Una trama che ricalca perfettamente tutto quello che amiamo di Agatha Christie: le case di campagna, le famiglie disfunzionali, i giochi di potere, la volontà delle persone che prevarica la morale, la wittines inglese e infine il denouement, la spiegazione del delitto da parte di Hercule Poirot. In questo volume Sophie Hannah alza la voce e l’asticella della qualità. Trova finalmente il suo spazio tra il suo modo di scrivere e quello della Christie, senza però fare compromessi di sorta. Anche il suo investigatore baffuto sembra più fedele a quello originale, senza però sembrare una copia carbone senz’anima. Dettaglio decisamente positivo è il ritratto dei diversi protagonisti della vicenda, che difficilmente vengono dimenticati.

E infine, il suo ultimo (per ora, perché nel 2020 dovrebbe uscire il quarto volume con protagonista Poirot) lavoro, Il mistero dei tre quarti, vede Sophie Hannah sicura: non c’è più traccia dell’immaturità del primo volume, o della paura di cercare un proprio spazio all’ombra del gigante. Con un’idea che sicuramente sarebbe piaciuta alla regina del giallo, Sophie dipana un mistero tanto intrigante quanto divertente, che però, come un qualsiasi giallo di buona qualità, diventa spunto di riflessione: quattro persone apparentemente sconosciute ricevono quattro lettere nelle quali vengono accusate dell’omicidio di un certo Barnabas Pandy. Poirot verrà chiamato per risolvere il caso? No, perché queste lettere sono proprio firmate dall’investigatore belga. Ma sarà stato proprio lui?

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Sophie Hannah in questo volume gioca nuovamente con gli ingredienti preferiti della Christie: fraintendimenti, depistaggi, le famiglie disfunzionali, la campagna inglese. Se Agatha Christie prendeva a piene mani da P.G. Wodehouse per la creazione del mondo inglese (notare come i due scrittori si conoscessero, fossero cari amici e apprezzassero i loro lavori) per poi inserirci il delitto, che diventava strumento per riflettere sulla realtà inglese, e non solo, Sophie Hannah fa uno stesso ragionamento. Fa suo il mondo di Agatha, fa suo il “delitto”, ma mette in moto le proprie celluline grige, creando un mistero intorno a un’idea molto intrigante, degna proprio della regina del giallo.

Consiglio fortemente la lettura di tutti e tre i volumi per vedere l’evoluzione dello stile di Sophie e il suo modo di muovere i personaggi che non sono suoi e vedere come, con il tempo, riesce a domarli e farli propri. Sono delle letture che si possono godere sia  da Christiano DOC, sia da profano. Sperando che questa nuova curiosità verso Agatha porti sempre più lettori, soprattutto quelli definiti forti, e spesso snob, ad aprire i propri occhi e a capire che, dietro l’arsenico e i vecchi merletti, c’è decisamente di più.

-Marco

PS: ho inserito qua e là dei titoli di romanzi di Agatha, chi li trova è pregato di non rivelare quali sono. Un piccolo enigma fa sempre piacere.

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