L’ultimo libro che ho letto è un volume di più di cinquecento pagine che, grazie a Fazi, ho potuto sfogliare in anteprima. Sto parlando de La famiglia Aubrey, di Rebecca West, disponibile nella traduzione di Francesca Frigerio. È il primo libro di una trilogia famigliare che, almeno inizialmente, si svolge nella Londra di fine Ottocento.
Quello della scrittrice in realtà non è altro che uno pseudonimo che rende onore a un’eroina di Ibsen. Il suo vero nome è Cicely Isabel Fairfield e nacque a Londra nel 1892. Fu giornalista, critica letteraria e femminista. Come riportato anche in un bell’articolo di Eleonora Marangoni la West scrive, in merito al femminismo, «Io stessa non sono mai riuscita a capire che cosa significhi con precisione femminismo. So soltanto che mi definiscono femminista tutte le volte che esprimo sentimenti che mi differenziano da uno zerbino o da una prostituta.» Fu amica di Virginia Woolf ed ebbe un figlio illegittimo con H.G. Wells.
La famiglia Aubrey, che trae ispirazione dalla vita dell’autrice, racconta la storia di una famiglia dominata dalla componente femminile. I quattro figli di Piers e Clare, Cordelia, Mary, Rose e Richard Quin, sono cresciuti tra spartiti musicali e momenti di grande immaginazione. Il padre ha da sempre sperperato il denaro in speculazioni di ogni sorta e la madre, per preparare i figli alla durezza della vita esterna li ha temprati con rigorose lezioni di piano sotto la stretta sorveglianza del suo sguardo vigile. Cordelia è l’unica eccezione, perché nonostante sia priva di talento musicale si accanisce di sua spontanea volontà sulle corde di un povero violino. Arrivata a Londra dopo lunghe peregrinazioni per sfuggire ai debitori la famiglia si trova a dover affrontare la povertà e il cambiamento, tra situazioni ordinarie e situazioni che di ordinario hanno ben poco.
Ci dispiaceva per lei, soprattutto ora che papà, al quale lei doveva quel che di interessante possedeva, sarebbe stato via per sei settimane. Ma comunque era una stupida a pensare di saper suonare il violino, era come se io e Mary pensassimo di avere ricci di un rosso dorato.
Il filtro del lettore è quello di Rose che racconta in prima persona tutte le vicende che hanno sconvolto la famiglia dal momento in cui sono arrivati a Londra e il padre ha preso in mano la direzione del Lovegrove Gazette. E i segreti e i misteri che si trova davanti agli occhi il lettore sembrano dipanarsi quasi si facesse parte della famiglia stessa.
Non è una di quelle letture che rapiscono dalle prime pagine. Bisogna studiarla per qualche istante, conoscerla, prima di sentirsi trascinato dal flusso narrativo. Il che non è necessariamente uno svantaggio, la qualità del testo non viene assolutamente sminuita, significa soltanto che c’è molto da dire e che il testo va perciò approcciato con la delicatezza speciale con la quale si approcciano certi autori.
I personaggi che più spiccano sono quelli dei bambini. L’intero libro è per certi versi un ritorno alla fanciullezza, tra animali invisibili e voli pindarici dell’immaginazione che se si tornasse un poco indietro nel tempo non faremmo fatica a sovrapporre a quelli della nostra infanzia. A un certo punto, come di moda in quel periodo storico, entra prepotentemente in gioco anche l’elemento spiritico, con tanto di Poltergeist e speciali abilità mentali.
Ma il romanzo è anche espressione del passaggio del tempo, dall’infanzia all’età adulta. Colori e immaginazione man mano si spengono, in parte per un momento di grave assenza che la famiglia si trova a dover affrontare nelle ultime pagine della storia, in parte per il naturale trascorrere del tempo e la perdita della spensieratezza tipica della fanciullezza.
La famiglia Aubrey è un libro da leggere e rileggere, che viene spontaneo riprendere in mano anche dopo molto tempo. Un libro che fa piacere veder fare capolino dalla libreria.
-Davide
Pingback: Nel cuore della notte di Rebecca West – – Radical Ging –
Pingback: Rosamund di Rebecca West – – Radical Ging –