La statua di sale di Gore Vidal: la recensione

Gore Vidal è molto conosciuto per aver scritto il ciclo di libri Narratives of Empire, che ripercorre la storia americana dalla fondazione al 2000, ma prima di questo Vidal maturo esisteva un Vidal ragazzo che, appena superata la soglia dei vent’anni già scriveva. È la storia de La statua di sale, pubblicata per la prima volta nel 1948, ora riproposta in libreria da Fazi, nella traduzione di Alessandra Osti.

La stesura di questo breve romanzo comportò una svolta per lo scrittore. All’epoca aveva una promettente carriera politica, sulla scia di quella del nonno, ad aspettarlo e la pubblicazione de La statua di sale, vista la tematica apertamente omosessuale avrebbe avuto conseguenze nefaste sulla carriera prima citata. E così fu, anche se il libro in poche settimane divenne un bestseller.

Il protagonista del romanzo è Jim Willard, un giovane ragazzo della Virginia, grande atleta di tennis, innamorato del suo migliore amico, Bob Ford. Dopo una prima notte di passione consumatasi poco prima che Bob si arruoli nella marina e lasci lo stato, Jim rimane ossessionato dal ricordo e dal desiderio per l’amico, così parte, finita la scuola, per un lungo viaggio per l’America che lo porterà a incontrare persone e visitare luoghi molto diversi.

È una storia tragica, che porta il lettore a Hollywood, New York, perfino nello Yucatan, insieme a Jim perso in una ricerca di identità che non si può concludere se non con la chiusura del cerchio e un nuovo incontro con Bob, l’amico perduto. Come succederà poi anche nelle Narratives of Empire, le storie di personaggi reali e fittizi si intrecciano continuamente, anche se spesso si tratta soltanto di un pettegolezzo a una festa o di un incontro fugace.

A differenza di quanto si potrebbe credere, e come puntualmente rivela anche lo scrittore nella prefazione, non ci sono riferimenti autobiografici. Gore Vidal era omosessuale ma non aveva molto a che spartire con Jim Willard e la sua ossessione per Bob. E, altra dichiarazione d’intento dell’autore, è quella di aver volutamente utilizzato un linguaggio e una scrittura piani ed essenziali, con poche descrizioni.

Uno dei ritratti più calzanti di Jim Willard che si possano trovare nel libro ce lo dà Maria Verlaine, la donna che sarà anche il motivo principale per il quale il protagonista si troverà ad andare nello Yucatan.

Ora era attratta da Jim. Lei lo trovava esotico. Non era mai stata attratta da un uomo ordinario, tanto meno da un ragazzo. Le piaceva esteticamente. Aveva sempre subito il fascino delle divinità nordiche. Occhi azzurri, capelli biondi e pelle bianca la incuriosivano. Avevano sentimenti quei nordici d’argento? Erano umani? Ma c’era di più, la commuoveva. Era così chiuso in se stesso, inarticolato, senza possibilità di comunicare, senza altro da offrire se non il suo corpo, che usava come un sacrificio per propiziarsi qualche dio pericoloso.

La statua di sale mimando l’immagine biblica della paralisi della moglie di Lot, rappresenta la paralisi di Jim, perso com’è in un desiderio che lo consuma, e la ricerca costante di un significato, di qualcosa di più, che permea tutti i personaggi del romanzo e un po’ ognuno di noi.

-Davide

 

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