Il Salone del Libro di Torino è una delle poche fiere, anche se la parola fiera non lo rappresenta, a dare uno spazio realmente significativo alla traduzione con un ciclo di eventi dedicato dal nome L’Autore Invisibile, coordinato dalla traduttrice ispanista Ilide Carmignani.
Chi segue il blog un po’ avrà ormai capito quanto mi è caro quest’argomento e anche a questa edizione del Salone ho avuto modo, insieme a Marco, di partecipare a un nutrito numero di eventi.
I momenti topici, quelli a cui siamo riusciti a presenziare, sono stati sostanzialmente quattro. Due incontri tra scrittore e traduttore e due dedicati alla traduzione di grandi capolavori e autori (senza la presenza fisica di questi ultimi).
Antoine Volodine e Guillermo Arriaga hanno conversato rispettivamente con Anna D’Elia e Bruno Arpaia, la prima traduce i libri dello scrittore francese per 66thand2nd e il secondo lo scrittore spagnolo per Bompiani. Entrambi gli incontri sono stati moderati dalla già citata Ilide Carmignani.
La cosa bella di questi incontri è che, seppur con voci e opinioni molto diverse, i traduttori e gli scrittori offrono punti di vista e spunti di riflessioni interessanti, differenti visioni su letteratura e cultura, finestre sul mondo con paesaggi diversi.

A partire dai diversi eteronomi di Volodine, ciascuno con un proprio stile e un proprio argomento d’interesse, si è parlato di Terminus Radioso e delle difficoltà traduttive. Citando parole altrui, di cui non ricordo la provenienza, “più guardi da vicino le parole, più quelle ti guardano da lontano”, per evitare di caderci dentro è necessario distanziarsene.
La scrittura di Volodine è asciutta e priva di orpelli, in qualche modo l’uso di diversi pseudonimi censura gli espedienti degli scrittori e la bella scrittura fine a se stessa, costruita per fare effetto e vendere. Ed è anche una scrittura molto cinematografica, fortemente influenzata dal cinema.
Al mondo del cinema appartiene Arriaga, che ha scritto questo grosso volume dal titolo Il selvaggio, ricco di calligrammi e slang, vere fatiche per il traduttore. Ma, nonostante l’ardua impresa di rendere fruibile per il lettore elementi culturali a lui avulsi, Bruno Arpaia è riuscito a compiere un lavoro eccellente.
Spesso nel mondo editoriale si parla di un dilemma traduttivo, quello di produrre una traduzione fedele, e quindi aderente al testo originario, ma brutta, dal punto di vista formale, oppure bella ma infedele, e quindi più libera. Di fronte a una scelta obbligata Arriaga preferisce diplomaticamente quella che fa innamorare il lettore, è forse una via di mezzo tra il restituire voce all’autore nella lingua d’arrivo e produrre una prosa accattivante per l’occhio e la mente? Risposte incredibili e dove trovarle.

Ma l’Autore Invisibile è qualcosa di più che un confronto con gli autori dei libri che amiamo, è un’occasione di riflessione. Come ad esempio pensare alle ritraduzioni di grandi opere, opere che vanno ringiovanite perché a volte la traduzione precedente può essere scollegata dalla realtà linguistica odierna o imprecisa. È questo il caso de Il signore degli anelli, la cui trilogia è stata affidata da Bompiani alle mani capaci di Ottavio Fatica.
Al di là del problema della nomenclatura la vetusta traduzione che un po’ tutti abbiamo letto è pregna di spiegazioni e informazioni che nel testo originale in realtà non ci sono, semplice stilema della precedente traduttrice. Sostantivi, aggettivi e verbi si ripetono ridondanti in tutto il testo, aggiungendo un quantitativo discreto di pagine al già vasto mondo tolkieniano.
A proposito di mondi vasti, da ricordare è anche la lectio di Susanna Basso, traduttrice anglista, che ha esposto le sue riflessioni e il suo pensiero sulle opere di Kazuo Ishiguro, l’ultimo Premio Nobel che i lettori avranno per un po’ di tempo. Lo scrittore britannico è, per usare le parole della traduttrice, “un erogatore di effetti drammatici” capace di costruire “frasi sorrette da cuscini d’aria…la sua è la prospettiva di Polonio, l’uomo le cui qualità sono messe al servizio del servire.”
L’uso di personaggi tenaci, che sanno ricominciare, i pochi phrasal verbs, argento vivo della lingua inglese, l’io del testo che si nasconde, sono l’anima della voce di Ishiguro, la britannicità che plasma a suo piacimento, a differenza di altri autori che sono britannicità, come McEwan.
E così come fa Ishiguro, riportare le parole al loro destino, ripulire la lingua, ecco, penso che sia una delle aspirazioni più grandi per chi traduce.
-Davide
Tradurre significa fare arte.
Troppo spesso, da lettori, lo dimentichiamo.
Grazie per questo articolo 😉
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Grazie a te per le belle parole. 🙂
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