In attesa del Salone del Libro, Torino continua ad animarsi di eventi e incontri dedicati alla cultura e alla letteratura. L’ultimo è stato una bella chiacchierata tra Paolo Giordano, autore de La solitudine dei numeri primi, e lo scrittore David Szalay che ha da poco pubblicato per Adelphi, qui in Italia, Tutto quello che è un uomo.
L’incontro si è svolto alle Officine Grandi Riparazioni, storica fabbrica in cui si riparavano treni che è stata riqualificata all’insegna dell’innovazione e della creatività. In questa location avveniristica ci siamo trovati per ascoltare un autore dalle radici culturali ricche e interessanti. Szalay infatti nasce in Canada, a Montreal, ma studia in Inghilterra, alla Oxford University, e, ora, vive in Ungheria.
Anche Tutto quello che è un uomo voleva essere, nell’idea del progetto originale che prevedeva proprio il titolo Europa, una raccolta di storie di personaggi che si sarebbero dovuti spostare per tutto il vecchio continente. Poi, considerata la difficile resa, l’idea si è trasformata in un romanzo a nove racconti, ciascuno dei quali con protagonista un uomo, in progressione d’età.
La dimensione europea, quella che lo scrittore ha vissuto sulla sua pelle, continua comunque a permeare il libro, anzi ne è un elemento imprescindibile. Rappresenta la realtà che Szalay meglio conosce, infatti, anche la sua famiglia ha una lunga storia di spostamenti e viaggi europei. Si tratta di una dimensione internalizzata che è sempre stata al centro dei suoi pensieri.
Nel romanzo, come lascia immaginare anche il titolo, c’è un continuo confronto fra gli stereotipi cui sono soggetti gli uomini nella vita moderna e la realtà delle cose, uno scarto che è spesso fonte di stress per l’uomo. Tutto questo discorso sociologico però non è l’obiettivo che Szalay si era posto nella stesura delle storie. Si tratta più di un argomento incidentale che in qualche misura è stato inevitabile trattare.
E infatti il libro è molto più di questo. È onnipresente la questione della mortalità, del tempo che passa. Non a caso il tempo è uno dei grandi protagonisti di queste storie. Molte di esse si svolgono in periodi molto limitati, da pochi giorni a pochi mesi.
Ogni età è contraddistinta da una serie di grandi leitmotiv. Nell’adolescenza traspare come le esperienze di quel periodo sembrino sempre nuove, e ti formino profondamente. Nella parte centrale è il lavoro che in qualche modo definisce l’identità di un uomo. E ancora nelle età più mature la fa da padrone la necessità di reinventarsi ed essere semplicemente se stessi, al di là del numero che ci classifica.
Ed è proprio nella vecchiezza che lo scrittore trova più facile creare storie. Probabilmente questo è dovuto al fatto che i personaggi che dipinge negli ultimi racconti non sono offuscati dalla sua esperienza di vita, pertanto è più naturale avere una visione più chiara di personaggi e situazioni. Personaggi e situazioni creati rigorosamente con osservazione e una generosa dose di immaginazione.
David Szalay si è rivelato uno scrittore complesso, multi-local, per prendere in prestito un’espressione a me cara e che è stata usata da un’altra grande scrittrice in una TED Talk (sto parlando di Taye Selasi, la TED la potete trovare qui). Un autore che non vedo l’ora di conoscere più a fondo nella lettura.
-Davide
La foto in copertina è di © Martin Figura.
Non ho capito una cosa. Questo libro di David Szalay originariamente è stato pubblicato in inglese? O in ungherese?
"Mi piace"Piace a 1 persona
È stato pubblicato in inglese, con il titolo All That Man Is!
"Mi piace""Mi piace"