Massimo Carlotto negli anni è diventato sinonimo di noir all’italiana. Un discorso complementare lo facevamo proprio in questo periodo lo scorso anno con Piergiorgio Pulixi, in un’intervista in cui, tra le altre cose, si parlava di noir mediterraneo come genere con un ruolo ben preciso: smascherare dinamiche criminali tipiche del cosiddetto Bel Paese. Ed è questo che fa Carlotto nel suo ultimo libro edito Rizzoli, E verrà un altro inverno, che l’autore stesso ha presentato in un incontro dedicato a blogger e giornalisti.
Ma partiamo dal romanzo: siamo in un piccolo paese senza nome (che però esiste veramente) in una vallata lombarda, una di quelle terre costellate da grandi capannoni e magazzini di proprietà di aziende a conduzione familiare. L’aristocrazia e la borghesia sono state soppiantate dal capitale, gestito da famiglie di maggiorenti che nel paese fanno il buono e il cattivo tempo. In questo paradiso (fiscale e non) attraversato da carovane di tir che sono la manifestazione su gomma del benessere, entra un forestiero, Bruno Manera. Questo ricco imprenditore si sposa con Federica Pesenti, maggiorente per nascita. La sua estraneità alle dinamiche di paese lo rende inviso a molti abitanti che lo vorrebbero fuori dai giochi.

Le buone non bastano, e le cattive non tardano ad arrivare. Non diciamo altro, visto che il reato di spoiler è dietro l’angolo.
Massimo Carlotto ha detto che ciò che lo ha spinto a scrivere questo romanzo è stato il bisogno di raccontare la provincia in modo diverso. C’è infatti questa convinzione che la provincia sia territorio di nessuno, uguale nel tempo e nello spazio, basta solo spostarlo in alto o in basso sulla cartina geografica. Non è così, anche se dietro ogni azione delittuosa si nascondono i soliti moventi: il potere, il sesso e il denaro.
Lo scrittore è poi convinto che, al giorno d’oggi, sia molto facile arrivare a compiere un crimine. Questo anche per il modo distorto con cui i media, in primis la televisione, ritraggono la realtà. Si fa avanti il sentimento del «cavarsela e discolparsi», del «tanto ci penso dopo, non ho fatto niente di male», anche se si ha compiuto un reato.
Esemplare è il personaggio di Manlio Giavazzi, di cui tanto vorremmo scrivere, ma non possiamo (sempre a causa del reato di spoiler). Possiamo dire però che Manlio è il frutto del sistema paese. Non è un maggiorente, è solo una guardia giurata, e non è nemmeno un poliziotto. Non può aspirare a una vita migliore, soprattutto dopo la disgrazia che ha colpito il figlio e che ha sgretolato la sua famiglia.
Manlio cerca un riscatto, perciò gioca (o almeno prova a giocare) allo stesso gioco dei maggiorenti. Non capisce però che i maggiorenti non includono mai, ma anzi tendono a escludere chi è diverso da loro, peggio della nobiltà più antica. Non c’è Re o Regina da servire, no, c’è solo il Capitale, l’unica cosa che conti veramente agli occhi degli abitanti di questo piccolo paesino, descritti da Carlotto come «una banda di mediocri, dove non si salva quasi nessuno».

Ed è la mediocrità, più che la banalità, a dare il fianco a certe situazioni, a renderle possibili. Anche quando qualcuno torna sui suoi passi e vorrebbe sottrarsi al gioco, ci pensano il peso dello status quo e quello dei soldi a far ritornare tutto com’era prima.
Carlotto ha scritto questa storia lavorando a un ritmo serrato. La trama era già pronta su quaderni di appunti. I personaggi sono venuti dopo. Tra questi spiccano le figure femminili, forse gli unici personaggi attivi all’interno del microcosmo creato dallo scrittore, che in alcuni casi ricalcano decisamente un forte stereotipo tradizionale (e tradizionalista), mentre in altri sovvertono l’ordine costituito senza un motivo particolare, perché le cose vanno fatte e basta.
E verrà un altro inverno è un libro bello soprattutto per la sua particolarità: se da una parte ricorda le atmosfere noir alle quali siamo abituati, dall’altra invece è spiazzante. La risoluzione del caso non è il dettaglio più importante. Lo sono invece le domande che sorgono spontanee durante la lettura. Carlotto risponde, tirando fuori anche argomenti spinosi, per certi versi simili alle domande che si fa Paolo Virzì in Il capitale umano.
-Marco