Chi legge vive mille vite. È vero. Tanto più perché, molto spesso, i libri raccontano il mondo che c’è là fuori – fuori dalle pagine di carta – e lo sanno fare benissimo. Questo è quello che succede con Questo giorno che incombe, l’ultimo romanzo scritto da Antonella Lattanzi e pubblicato da Harper Collins Italia. Come spiega nel prologo, la scrittrice sceglie di partire da un evento reale – un «incidente» avvenuto nel palazzo in cui viveva da bambina con la sua famiglia a Bari – e di creare una narrazione che è qualcosa di completamente diverso. La finzione per raccontare ed esplorare la realtà.
Questo giorno che incombe è la storia di una famiglia che, per motivi di lavoro, decide di trasferirsi da Milano per andare a vivere in un condominio a Giardino di Roma, al confine tra Ostia e la Città eterna. Francesca, nonostante a Milano ci sia nata e cresciuta, e nonostante avesse una carriera come disegnatrice ben avviata, è contenta, si sente libera e davanti a sé vede un mare di possibilità, in primis quella di scrivere e disegnare il libro per bambini che da sempre ha nel cassetto. Dopo un abbaglio iniziale, quei condòmini che le erano parsi tanto gentili si dimostrano invadenti, inquietanti. La casa in cui si è trasferita con Massimo e le due figlie, Angela ed Emma, non sembra più quel luogo sicuro che le era sembrato all’inizio. A precipitare le cose è un tragico avvenimento che coinvolge i bambini del cortile, sempre vegliati attentamente dagli abitanti del posto. La piccola Teresa, l’amichetta di Angela, scompare, un mostro l’ha presa…
Il romanzo, come suggerisce anche il titolo, è pieno di giorni che incombono, a partire da quello in cui Francesca e la sua piccola e perfetta famiglia arrivano di fronte al cancello rosso del palazzo di Giardino di Roma. C’è una minaccia, lo urla l’inspiegabile ferita che le compare sulla mano appena tocca il cancello, strisciante, nascosta, pronta a colpire da un momento all’altro. Il titolo è una citazione diretta a un’opera di Shakespeare, il Giulio Cesare, un’altra storia in cui l’incombenza la fa da padrona.
Francesca è una donna forte e indipendente ma l’atmosfera soffocante – nessuno dei condòmini ha le tende alle finestre, tutti sanno tutto l’uno dell’altro – e opprimente che si respira in quel posto la porta presto a essere preda di logoranti paranoie, a sentirsi perennemente in trappola, senza una persona amica con cui parlare. L’unica creatura con cui riesce a confidarsi è la Casa, l’appartamento in cui vive con la sua famiglia. Questa misteriosa entità – sarà vera? Sarà frutto delle paranoie della giovane donna? – è un personaggio ambiguo. Da un lato sembra voler aiutare Francesca, dall’altro la comanda a bacchetta, le suggerisce, ma in alcune circostanze sarebbe meglio dire ordina, anche cosa deve dire.

Lo stato di isolamento e di oppressione in cui si trova la colpiscono anche nella vita professionale. Francesca non riesce a disegnare, non riesce a portare avanti il suo progetto – quello del libro per bambini – perché ha sempre altro da fare, sempre altro per la testa. Si sente schiacciata nel suo ruolo di madre. Non esiste se non come madre. È quel microcosmo tossico, che è riuscito a plagiare anche suo marito, a ridurla così, ombra di se stessa, paralizzata, imprigionata.
Una via d’uscita, una speranza c’è, ma sembra che quel microcosmo malato, i suoi condòmini, una specie di setta, faccia di tutto per ostacolarla. Il modo in cui questi personaggi – o questo personaggio, visto che gli abitanti del palazzo pensano, parlano e agiscono come uno solo – si comportano ricorda un po’ quel senso di comunità degenerata che spesso si sviluppa nei piccoli comuni italiani. Isolati, organismi autosufficienti e omertosi. Ci sono i condòmini e poi c’è il resto del mondo, chi è estraneo al loro piccolo universo è cattivo, vorrebbe distruggerli e perciò tocca proteggersi a vicenda, prendere la situazione in mano e farsi giustizia da soli.
L’aria di tragedia imminente, il perturbante, la vita settaria degli abitanti del palazzo, tutti questi elementi si mescolano tra loro come gli strumenti di un’orchestra. Nonostante il romanzo sia molto lungo – più di 400 pagine – si tratta di una lettura scorrevole, coerente nelle sue parti e che ti tiene incollato fino all’ultima pagina. Da un lato ricorda per certi versi Pelle di serpente, il film del 1960 con Marlon Brando, dall’altro ha qualcosa del recentissimo E verrà un altro inverno (Rizzoli), romanzo di Massimo Carlotto dove protagonista è un piccolo e omertoso comune italiano, e dell’atmosfera perturbante dei racconti weird di Loredana Lipperini con il suo Magia nera (Bompiani).
Questo giorno che incombe racchiude in sé una storia bella, struggente e dolorosa. Il personaggio di Francesca ha la qualità di riuscire a parlare a un pubblico di lettori molto vario e sfaccettato. Perché, al di là dell’elemento perturbante, ma forse proprio anche per quello, non c’è nulla di più vero e di più «quotidiano» che sapersi far carico dei propri tormenti interiori e cercare di ricucire la propria identità nella sua complessità, anche se spesso la società vorrebbe ridurci a un’etichetta facilmente classificabile.
-Davide