Le case del lago di Carlo Coccioli: quando la filosofia si tinge di giallo

Il giallo (insieme al noir) è uno dei colori “letterari” che più ci piace frequentare, o meglio, che più ci fanno sentire a casa. Ancora di più se queste sfumature si mescolano ad altri generi, che dal giallo sembrano lontani anni luce. Capirete quindi che una volta letta la sinossi de Le case del lago di Carlo Coccioli, finalmente riproposto da Lindau nella collana dedicata all’autore livornese, Piccolo Karma, ci si sono subito rizzate le antenne.

Come forse saprete, Coccioli era omosessuale, profondamente legato alla religione cattolica e alla spasmodica ricerca di Dio, in tutte le declinazioni consentite dalla spiritualità. Le case del lago è l’ennesimo tassello della ricerca coccioliana.

Si tratta di un dialogo continuo, ininterrotto (la tradizionale suddivisione in capitoli romanzesca è assente), che il protagonista, un intellettuale in là con gli anni, instaura con un ignoto ascoltatore. Un impianto narrativo che fa pensare subito a quello di un copione teatrale.

Sul Lago degli Abissi, in una località non meglio precisata, si trovano tre case: la Pagoda, la Casa senza nome e il Purgatorio.

Mito non è: ma certezza proiettata nel tempo. Il messia, che non viene “mai” oggi perché “sempre” verrà domani, è stato il motivo guida del me più autentico. Un suono di flauto, non meno tenace che tenue, appena udibile, e immancabile, nella vociante sinfonia della mia esistenza.

Oltre all’intellettuale, nella Casa senza nome, vivono Damaso, un giovane ragazzo a lungo vittima di crisi dovute alla presenza, in lui, di un Altro, e Carmela, una donna del Sud Italia che si occupa del protagonista e di un paio di cani, Maximus e Minimus. Poi ci sono i membri della famiglia King, o dovrei dire Malka: Joseph, amico fraterno del nostro, con cui ha condiviso l’esperienza della guerra in Italia, sua moglie Rachel e i figli Tadeusz e Pierce, quest’ultimo in compagnia della moglie Dolly. Mancano all’appello solo la madre di Rachel, Lia Abramova, e i due servi tuttofare dei King, Nelson Bonaparte, brasiliano, e Colette, haitiana.

Al lago però c’era anche un certo Monsieur Cavalcantì, un personaggio dall’aspetto rasputiniano che risulta scomparso. Gli abitanti delle case si riuniscono per una singolare seduta spiritica (spirituale?) nel tentativo di scoprire che fine abbia fatto quell’uomo, ospite di Pierce e Dolly alla Pagoda.

Ecco dove il genere si fa più sentire, nelle famiglie disfunzionali, ma non troppo, che erano tanto care ad Agatha Christie (per esempio la famiglia Argyle de Le due verità). Coccioli, dal momento zero, si diverte, è proprio il caso di dirlo, a prendere in giro il lettore. Il lettore si aspetta un giallo? E una versione tutta coccioliana del giallo avrà. Cominciamo con un sogno, un sogno cosparso di immagini che ritorneranno anche più avanti nella narrazione. Ma al di là del mistero, tutto sembra superfluo di fronte all’interrogativo principale, il senso della vita e della sua fine. Cosa ci aspetta oltre la famosa galleria? Il riposo eterno oppure un modo di vivere Altro?

[…] L’idea della morte come insensibilità, come inerzia, come silenzio, come non-partecipazione agli eventi…, in una parola: come non-essere…, mi salta addosso, mi succhia il sangue, non mi abbandona più!

[…] No, non era la paura dell’inferno che mi agghiacciava, bensì lo sgomento di uno “stato diverso”, inconcepibile ma inevitabile, mio e di coloro che amo. un’esterrefatta “pigrizia dell’anima” davanti all’infinita serie di “avventure” che mi attendevano: che mi attendono.

Sono evidenti le influenze delle religioni monoteiste (Cristianesimo, Ebraismo, Islam). Immancabili le citazioni alla Bibbia, ma anche al Talmud, agli studi relativi alla Cabala e al Libro tibetano dei Morti. Senza ignorare le figure di mistici come Nathan di Gaza e Sabbatai Zevi, che hanno un’importanza non da poco all’interno del romanzo.

Se da un lato Coccioli gioca con la sfera alta, con il dialogo filosofico (che diventa in qualche modo una confessione nel senso cristiano del termine), dall’altro si diverte con quelle atmosfere che caratterizzano il giallo, citato apertamente dal protagonista più e più volte. Non è un giallo puro però, no, a volte si mescola alle tinte del noir. C’è un certo non so che di intrigante, erotico, suadente nelle immagini forti che troviamo nel libro. Non sono le parole scritte che scandalizzano e rapiscono allo stesso tempo, ma il sottinteso, è il sottotesto che ti tiene incollato alla pagina.

Dal giorno in cui era giunto al lago lo aveva fatto tre volte: dopo aver desinato insieme, e senza che io lo avessi invitato a seguirmi, tre volte era venuto in camera mia, con me, e con me si era sdraiato sull’ampio letto. Nel corso di una di esse, la seconda, supino e tenendo le mani allacciate sotto la nuca mi aveva parlato a lungo, col suo linguaggio prezioso e col lontano tono delle favole […]

Coccioli con Le case del lago veste i panni del Tennessee Williams di Improvvisamente, l’estate scorsa e di Pelle di serpente (La discesa di Orfeo), offrendo al lettore atmosfere afose, umide e sensuali, al limite del proibito e giocando anzitempo con il termine queer in tutte le sue accezioni. Il risultato è un romanzo di taglio che farà felice chi è disposto a giocare con gli elementi coccioliani. Un unico avvertimento: nel testo si fa uso frequente di stereotipi piuttosto forti sulle persone afrodiscendenti e di slur, retaggio di un mondo decisamente meno accogliente.

-Marco

3 pensieri su “Le case del lago di Carlo Coccioli: quando la filosofia si tinge di giallo

  1. Scrittore da riscoprire assolutamente. Non è meno grande dei grandi del Novecento però è stato come oscurato e ancora devo capire perché. Da rivelare senza alcun dubbio. Io ho letto La vita gloriosa di Buddha, La casa di Tucayama (spero di averlo scritto bene) e adesso sto leggendo La terra e il cielo. Solo i suoi titoli sono impegnativi!!! 😀

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