Un titolo, quello scelto per questo articolo, che potrà far storcere il naso a qualcuno, o ricordare ad altri le riviste un po’ strane che si potevano trovare in edicola qualche decennio fa, e che sarebbero piaciute anche alla stessa Gideon. Parliamo infatti del romanzo scritto da Tamsyn Muir, Gideon la nona, primo capitolo della Locked Tomb Trilogy, arrivato in Italia lo scorso novembre per i tipi di Mondadori nella traduzione di Francesca Crescentini (a.k.a Tegamini, per i più scafati).
Come fare a scrivere un articolo su un romanzo di questo tipo? Da dove partire? Un accenno di trama? Fare riferimento al genere? La scrittrice neozelandese, ora trasferitasi a Oxford con la moglie, decide di prendere ispirazione qua e là per creare un universo che, per quanto derivativo, non sa di già visto, non sa di prevedibile, anzi. E ci teniamo a ricordarlo: per Muir questo è il romanzo d’esordio. Ah, e un piccolo avvertimento: è zeppo di violenza grafica, di sangue, di carne, di ferite, di ossa (e quante ossa) spezzate, maciullate, frantumate, rianimate. Se non vi piacciono questi dettagli, forse non è la lettura che fa al caso vostro.
In un luogo non troppo definito dell’universo (e del tempo) esiste una civiltà fondata sul culto della morte, in tutte le sue forme. Si tratta di un culto basato tanto sulla scienza, quanto sulla magia e sulla religione. La scala gerarchica in cui è organizzato questo universo fa riferimento alle Nove Case, nove pianeti che ospitano diversi culti. Gideon Nav, la protagonista, ha sempre vissuto sulla Nona Casa, quella dei Custodi del Sepolcro Sigillato, la Casa della Lingua Cucita e delle Vestali Nere. Però… però, non è davvero una di loro. Gideon è un’orfana che è stata costretta a vivere secondo i precetti delle monache calcificate.

A capo della Nona Casa ci sono Pelleamena Novenarius e Priamhark Noniusvianus, genitori di Harrowhark Nonagesimus, erede della Nona Casa, Reverenda Figlia del Drearburh ed esperta necromante (nonostante l’età). A scandire le giornate sul pianeta sono le preghiere e l’addestramento, unica valvola di sfogo per Gideon, che ha già tentato la fuga più di ottanta volte, senza mai riuscirci. L’ultimo tentativo coinvolgeva una navicella rubata appositamente per potersi arruolare nella Coorte, una specie di organo militare dell’Impero.
Una scappatoia le arriva dalla persona che più odia, Harrowhark. La pretendente al trono della Nona Casa, infatti, viene convocata dall’Imperatore sulla Prima Casa, per affrontare una prova di cui non sappiamo molto (di cui nessuno sembra sapere molto). Harrowhark trascina con sé Gideon nelle vesti di Paladina, una specie di super guardia del corpo che dovrebbe proteggere la principessa.
I necromanti e i paladini delle diverse Case si ritrovano insieme a Canaan, una costruzione magnifica per dimensioni, bellezza e fatiscenza. Sono lì riuniti, in quel luogo sperduto, per superare le prove per diventare Littore o Littrice. Cosa significa? Dio solo lo sa, a dirla tutta.
Questa è l’unica risposta possibile a tutte le domande che uno si pone leggendo il romanzo: cos’è quest’organizzazione? Come funziona questa civiltà? Veramente si possono riportare in vita le ossa? Cosa si nasconde dietro la Pietra Sigillata? Ma Gideon è fantastica, irriverente, cazzuta oppure è solo una scriteriata che non sa cosa fare?
Tasmyn Muir non risponde a queste domande. Il lettore si trova spaesato, catapultato in un mondo nuovo senza bussola, senza note, senza glossario, senza spiegoni. La prima impressione è di una forte estraniazione: non sappiamo nulla di questo universo, che è anni luce avanti al nostro ma al contempo è strettamente ancorato alla materia – o meglio, alle ossa, elemento, malleabile, duttile – e alla religione. Eppure è proprio questo camminare sulla soglia che incuriosisce. Muir se ne frega della classica prosa da fantasy (ma sarà poi un fantasy questo?) e infarcisce il testo di riferimenti a quella cultura pop che viaggia sul web, senza renderli troppo evidenti o fuori luogo. Per non parlare del linguaggio nei dialoghi: parolacce usate con nonchalance, mai forzate. Niente giri di parole, niente aria fritta, niente salamelecchi. Ogni personaggio, per quanto a primo acchito possa sembrare stereotipato, buca lo sfondo e si muove in piena autonomia – seguito dal suo paladino, non sia mai.

Cos’è Gideon la Nona? Facciamo qualche esempio: prendiamo Aliens – Scontro Finale di James Cameron e Starship Troopers di Paul Verhoeven, immergiamoli in quelle atmosfere di spazio alla Star Wars e buttiamoci in mezzo un po’ di Signore delle mosche. Il tutto con un tocco di Dieci piccoli indiani, o forse The Hateful Eight di Tarantino. E una sfumatura di Gormenghast di Mervyn Peake. Un insieme che idealmente non funziona ma che su carta, grazie a Tasmyn Muir, fa scintille.
Non c’è personaggio che non lasci traccia in chi legge. Tutti vengono caratterizzati con precisione. In più, punto di forza assoluto, non cala mai la tensione o l’attenzione in quattrocento e passa pagine. Non viene mai voglia di sbadigliare, anche grazie al caratteraccio di Gideon e al mistero di fondo, che stuzzica la curiosità del lettore fino alla fine.
Consigliamo Gideon la Nona? Per usare le sue parole, Sì cazzo!
-Marco
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Ho letto questo libro qualche mese fa e me ne sono innamorata subito!!
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