Ho paura torero di Pedro Lemebel

Alla Biennale di Venezia, quest’anno, è stato presentato “Tiengo miedo torero”, affidato alla regia di Rodrigo Sepúlveda. Il film è un adattamento dell’omonimo romanzo di Pedro Lemebel, Ho paura torero, ripubblicato di recente da marcos y marcos nella traduzione di M. L. Cortaldo e Giuseppe Mainolfi. Il titolo tuttavia è in catalogo già dal lontano 2004.

Per comprendere autore e romanzo dobbiamo contestualizzarli entrambi. Pedro Lemebel viveva nel Cile di Pinochet. Il dittatore era salito al potere con un golpe, l’11 settembre 1973, rovesciando il governo eletto democraticamente di Salvador Allende. Augusto Pinochet instaura da subito una dittatura militare che prevede ben poche libertà – un eufemismo – e una sistematica azione di repressione violenta. Pedro Lemebel, intellettuale di Santiago, sceglie di rimanere nella sua città e di opporsi alla dittatura come meglio sa far: con la letteratura e la libertà d’espressione e sessuale, da articoli e storie ‘scomode’ a rumorosissime proteste sui tacchi a spillo. Ho paura torero è l’unico romanzo che Lemebel abbia mai scritto. Viene pubblicato nel 2001, ma oltre a questa strepitosa prova di scrittura ci sono rimaste anche alcune raccolte di racconti (Baciami ancora, forestiero, marcos y marcos; Di perle e cicatrici, Edicola Ediciones). Nelle sue storie Lemebel parla di omosessualità, di dittatura, di vittime e carnefici.

L’essenza di Ho paura torero è la Fata dell’angolo, un anziano omosessuale che passa placidamente le sue giornate nella piccola casetta che affitta a Santiago, tra una vecchia canzone d’amore e l’altra. La Fata è innamorata di un giovane, un certo Carlos, che fa parte del Fronte patriottico Manuel RodrÍguez, una frangia rivoluzionaria che si oppone apertamente alla dittatura di Pinochet. E proprio la voce del dittatore si alterna a quella dei due uomini che, uno a malincuore l’altro con trasporto, si adoperano per accorciare i giorni di Augusto.

Quella casa primaverile dell’86 era il suo nido. Forse il suo unico amore, l’unico spazio tutto per sé che ebbe in vita sua la Fata dell’angolo. Ecco perché si era affannata a decorare le sue pareti come una torta nuziale. Popolando ogni angolo di uccelli, ventagli, intrecci di nontiscordardimé, e quegli scialli di seta drappeggiati sul pianoforte invisibile.

La storia è un continuo alternarsi tra i due punti di vista – quello della Fata e quello del dittatore – con un ritmo a metà tra il sincopato e la dolce melodia di una canzone d’amore cilena. Nel romanzo la voce della Fata è in aperta contrapposizione con quella della First Lady, la moglie di Pinochet. All’inizio sembrano due personaggi vacui, attratti dallo scintillio temporaneo delle cose belle ma poi, in un brusco allontanarsi di strade, diventano l’uno l’opposto dell’altro, quasi lasciando sullo sfondo Carlos e Pinochet, oggetti passivi dei loro desideri (e delle loro chiacchiere).

Ho paura torero è la storia di un amore, un amore incondizionato, disposto a chiudere due occhi, e soprattutto la bocca, ma ancor più di è la storia di un Cile e di una Santiago che non si arrendono mai, che di fronte ai mostruosi soprusi di un governo illegittimo, di fronte alla tragedia dei desaparecidos, di fronte all’odio e all’intolleranza non cedono mai di un passo. Il linguaggio barocco e sferzante dell’autore incalza Pinochet e lo mette all’angolo, rivelando la figura di un uomo piccolo, gonfio di disprezzo per il mondo che lo circonda e per tutto ciò che non fa parte di un preciso ordine precostituito.

Pedro Lemebel costruisce una satira della dittatura con grande ironia. Riesce a trovare un modo per esorcizzare il dolore e la violenza con la voce squillante e allegra di una Fata che canta in una vecchia casa macilenta piena di mobili bizzarri. Pedro Lemebel riesce a trovare un modo per ridere anche delle nostre paure più grandi.

-Davide

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