In questa bizzarra, opprimente e difficile estate ritorna in libreria Jesmyn Ward, la scrittrice americana che ha dato vita alla trilogia di Bois Sauvage. La casa editrice NNE ha pubblicato da poco, sempre nella traduzione di Monica Pareschi, La linea del sangue, perfetto compagno degli altri due libri già nel catalogo dell’editore, Salvare le ossa e Canta, spirito, canta. Questa nuova uscita è in realtà l’esordio letterario di Jesmyn Ward, pubblicato per la prima volta nel 2008 col titolo Where the Line Bleeds.
La linea del sangue ci riporta nuovamente a Bois Sauvage, piccolo centro cittadino nel Mississippi, dove la comunità, per quanto fragile possa sembrare, resiste all’assalto degli anni e delle forze esterne. Joshua e Christophe sono gemelli. Si sono appena diplomati e stanno cercando un lavoro. Quel legame indissolubile che nasce dal sangue sembra sfilacciarsi quando Joshua ne trova uno e Christophe si dà allo spaccio. Non solo. Sembra che il padre, Sandman, sia uscito dal centro di recupero per tossicodipendenti in cui stava e voglia ricucire i rapporti con loro. E così la madre assente, di ritorno da Atlanta. I due gemelli si stringono all’anziana Ma-mee, che li ha cresciuti e per cui provano uno smisurato affetto, per resistere ai colpi della sorte.
Sapeva che in teoria Bois Sauvage non aveva niente di speciale, eppure sì: conosceva ogni macchia boscosa, ogni cane randagio, ogni curva di ogni strada lastricata a metà, ogni spianata irregolare su cui sorgeva una casa sgangherata e scadente, ogni pozza d’acqua nascosta. (…) Bois Sauvage era sprofondata nell’insenatura, minuscola e isolata. Era delimitata su tre lati da confini naturali. A sud, est e ovest la cingeva il bayou, lo stesso in cui si riversava il fiume Wolf prima di raccogliersi nella baia degli Angeli e sfociare infine nel golfo del Messico. C’erano solo due strade che attraversavano il bayou e uscendo da Bois Sauvage portavano a St. Catherine, la città successiva. A nord, l’interstatale chiudeva la cittadina come un regolo, oltre il quale si stendeva, a perdita d’occhio, un ispido orizzonte boscoso di pini. Era una meraviglia.
A leggere questo libro non sembrerebbe un esordio. La qualità letteraria, lo stile, la caratterizzazione dei personaggi… tutto è al livello di Canta, spirito, canta, cui non ha nulla da invidiare. Tornare a Bois Sauvage è stato come tornare a casa e lasciarsi avvolgere dai suoni, dagli odori e dai colori del Mississippi e del bayou. La scrittura di Jesmyn Ward è inebriante, ricca e burrosa. Quella terra tanto cara a Joshua e Christophe la sentiamo incrostata alle dita anche noi. Sentiamo il caldo appiccicoso sulla pelle, il gusto dei gamberetti di fiume sulle labbra.
In questo romanzo la Ward mette di nuovo la lente di ingrandimento sui legami famigliari, il cui elemento fondamentale è la presenza, non l’assenza. Ciò che lega i gemelli tra loro, ciò che li lega alla nonna o al cugino o alla zia è qualcosa di tangibile e sontuoso come la terra del Mississippi. È il sangue che si fa terra e che tiene la piccola comunità impastata e unita. Non a caso La linea del sangue è anche un romanzo di corpi, Corpi così strettamente legati a Bois Sauvage che ne sono indistinguibili. I personaggi sono come golem modellati da quel bayou che circonda la cittadina e che è fonte di vita per le famiglie che lo abitano.
Jesmyn Ward è capace trasferire l’universalità dei rapporti umani nella particolarità di una comunità così singolare e unica come quella di Bois Sauvage. Tutti abbiamo riconosciuto in qualche persona cara l’attaccamento possessivo ma colmo di amore di Christophe per Joshua, tutti abbiamo provato un affetto materno per chi ci ha accuditi e cresciuti, quasi che i ruoli crescendo si fossero invertiti e tutti abbiamo un luogo speciale cui non possiamo fare a meno di ritornare e che anche quando siamo lontani è sempre lì, al limitare dei nostri pensieri, pronto ad avvilupparci e prestarci rifugio nel caso qualcosa dovesse andare male.
La linea del sangue, allo stesso modo del resto della trilogia, è ritagliarsi uno spazio di serenità nelle difficoltà che ci assillano. Sedersi su una vecchia veranda di legno, su una sedia a dondolo fatta a mano, e ascoltare i suoni della natura che ci circonda. Sempre presenti, punto fisso e inalterato, anche quando la sofferenza sopraffà il nostro spirito.
-Davide
Pingback: NNEditore | Sotto la falce | Il memoir di Jesmyn Ward – – Radical Ging –