#EinaudiTO: Natalia Ginzburg, da Lessico famigliare a Vita immaginaria

A farci compagnia nel mese di aprile sono state le opere di Natalia Ginzburg, autrice protagonista di questa tappa di #EinaudiTO, il percorso letterario dedicato alla riscoperta di dodici figure legate a Torino e alla casa editrice Einaudi. Dopo il fondatore, Giulio Einaudi, e i suoi colleghi e amici, Leone Ginzburg e Cesare Pavese, parliamo di Natalia Ginzburg, scrittrice di romanzi e racconti all’apparenza semplici, che custodiscono al loro interno la fotografia del mondo filtrata dagli occhi di un fine intelletto.

Ma come entra l’Einaudi nella sua vita? Di questo ce ne parla la stessa Natalia nel suo romanzo Lessico famigliare, scritto nel 1963 e Premio Strega di quell’anno.

Leone [Ginzburg NdR] cominciò a lavorare con un editore suo amico. Erano soltanto lui, l’editore, un magazziniere e una dattilografa, che si chiamava signorina Coppa. L’editore era giovane, roseo, timido e arrossiva spesso. Aveva però, quando chiamava la dattilografa, un urlo selvaggio:

-Coppaaa!

Cercarono di convincere Pavese a lavorare con loro. Pavese recalcitrava. Diceva: – Me ne infischio! Diceva: – Non ho bisogno di uno stipendio. Non devo mantenere nessuno. Per me, mi basta un piatto di minestra, e il tabacco.

[…]

Alla fine si persuase, entrò anche lui a lavorare con Leone in quella piccola casa editrice.

819jba2jqcl

Leone Ginzburg è il primo contatto con la casa editrice. Leone le viene presentato dal fratello Mario, che era solito passeggiare su corso re Umberto con l’amico, lo stesso corso che sarà il centro di tante attività dell’Einaudi, che all’epoca aveva sede in via dell’Arcivescovado.

La prima impressione che il padre di Natalia, Giuseppe Levi, scienziato di fama (maestro tra gli altri di ben tre premi Nobel italiani, Rita Levi-Montalcini, Renato Dulbecco e Salvador Luria), ha di Leone non è delle migliori.

– È molto brutto. Si sa, gli ebrei son tutti brutti. – E tu? – disse mia madre, – tu non sei ebreo?

– Difatti anch’io son brutto, – disse mio padre

Giuseppe Levi non dev’essere stata una persona semplice. Natalia lo racconta senza filtri, mostrando i suoi accessi d’ira, le sue fisse, le sue passioni. Non è ovviamente l’unica persona di cui Natalia Ginzburg racconta, anzi. Nelle pagine di Lessico famigliare troviamo l‘istantanea di una certa società, quella medio borghese.

La famiglia Levi era ben inserita nella vita sociale di Torino. I Levi erano amici di letterati, antifascisti e persone come Anna Kuliscioff e Filippo Turati (che poi aiuteranno nella fuga oltre il confine italiano, nascondendolo in casa e facendolo passare per Paolo Ferrari). E proprio grazie a Lessico famigliare scopriamo una Natalia a tutto tondo, che si muove sullo sfondo della Storia d’Italia.

1469021773566-1200x675-1
Natalia e Leone Ginzburg

L’ascesa del fascismo, l’obbligo al giuramento, la lotta antifascista, il sequestro degli immobili e il confino, tutto questo è Lessico famigliare. Natalia, in un’intervista, spiega il significato del titolo.

Il mio libro Lessico famigliare non è un’autobiografia, è un libro che racconta le persone della mia vita, non la mia vita. Io non intendevo essere un personaggio in questo libro, intendevo essere semplicemente una testimone. Quindi il mio personaggio l’ho ignorato quasi, sta nell’ombra, io ho detto quasi nulla di me.

[…] La realtà l’ho raccontata sempre, solo che la mascheravo. Qui, un’autobiografia scoperta, niente di inventato. Ho sentito il desiderio di raccontare la verità. Un diario diseguale. Volevo raccontare la storia della mia famiglia, una cosa che desideravo da piccola. Riguardo al titolo non ho avuto esitazioni: ero partita pensando di scrivere un racconto sulle frasi che usavano nella mia famiglia. Trovo difficilmente i miei titoli, in questo caso mi è capitato molto facilmente. Quando ho iniziato a enumerare queste frasi mi sono resa conto che c’era dietro tutto un mondo. Scrivere della realtà è una grande tentazione. Ricordare è puro abbandono.

L’approdo, puntata 12 1963, RAI

Ma Natalia Ginzburg non è stata solo una scrittrice. Per la casa editrice torinese si è occupata, tra le altre cose, di tradurre La Recherche di Proust (di cui si parla molto anche in Lessico famigliare), Madame Bovary di Flaubert e Una vita di Guy De Maupassant. Quando scriveva, credeva fermamente che lo stato d’animo influenzasse le sue abilità, così come a suo avviso aveva influenzato quelle dei grandi scrittori che traduceva.

Ho notato scrivendo che la condizione e lo stato d’animo in cui siamo quando ci mettiamo a scrivere condiziona estremamente quanto si scrive. Cioè se siamo felici la fantasia agisce liberamente. Quando siamo tristi resta immobile, siamo indotti a guardare dentro di noi. Rables, Sthendal, loro erano scrittori estremamente felici, la loro fantasia è libera, piena di vitalità e sangue. Il male oscuro di Berto invece è testimonianza di infelicità, perché non alza mai gli occhi da sé. Non faccio apprezzamenti di valori, c’è un rischio nell’uno e nell’altro stato d’animo.

L’approdo, 1964, RAI

Non stupisce che, con questa sensibilità, Natalia sia stata scelta da Elsa Morante per leggere il suo Menzogna e sortilegio, primo romanzo della scrittrice romana. Questo romanzo ha, sin dal momento della sua pubblicazione, nel 1948, un significato speciale per Natalia Ginzburg, non solo dal punto di vista editoriale, ma anche in termini di amicizia.

Menzogna e sortilegio. Penso che non si possano fare gerarchie tra i libri. […] perché in qualche modo ci sono legata sentimentalmente. Perché è accaduto che quando Elsa l’ha scritto me l’ha mandato, lavoravo in Einaudi. Non mi sono mai spiegata perché l’ha mandato a me e non a Pavese. Credo di essere stata una delle prime persone a leggerlo. È uscito quasi subito.

Intervista per la RAI

natalia
Come la sua amica Elsa Morante, anche Natalia Ginzburg amava i gatti. Al contrario della madre.

Quello che traspare dalle sue opere, come Le piccole virtù, Caro Michele, La famiglia Manzoni, La casa e la città, è la centralità dei rapporti umani all’interno del nucleo famigliare, che sia esso di soli due membri o più numeroso. Una questione, quella della famiglia, che declina in più modi, in più forme e linguaggi. Anche a teatro.

Ti ho sposato per allegria è una commedia scritta da Natalia Ginzburg nel 1966. Divenuta poi anche un film con Monica Vitti, racconta la storia di una coppia quasi per caso, Giuliana e Pietro. Lei, scampata a una situazione famigliare disgraziata, lui figlio della società bene di Roma, finiranno per sposarsi senza saper perché.

Una commedia breve, che gioca sulle situazioni assurde, ma non troppo, della vita borghese, delle suocere incontentabili, dei figli bastian contrari e del volersi bene, alla fine, senza bisogno di una ragione.

Nel volumetto del 1966 pubblicato da Einaudi fa capolino, oltre che in copertina, la stessa Natalia, che in una prefazione racconta del rapporto con la scrittura per il teatro. Un simile intervento l’aveva fatto anche per la televisione, proprio poco tempo prima che la commedia venisse messa in scena al Teatro Stabile di Torino.

Nella mia esperienza personale posso dire soltanto questo: pensavo che l’ostacolo principale per uno scrittore di romanzi che osasse avvicinarsi al teatro fosse il linguaggio. Non sono affatto sicura di questa commedia. Questo non era il problema, il problema era un altro. Era difficile raccontare un personaggio attraverso le battute del dialogo. nei romanzi ci sono mille maniere, nel teatro no. Lì si può solo raccontare com’è attraverso le parole che dice. Poi c’era un’altra cosa: quello che ci rende difficile [a noi scrittori ndr]  avvicinarci al teatro è la questione del pubblico, il rapporto con il pubblico. Il rapporto con il lettore è indistinto, confuso. Il pubblico è invisibile. Scrivendo per il teatro il pubblico si sente come una realtà pesante, corposa. Per chi scrive commedie dà certo disagio.

L’approdo, RAI, 28 febbraio 1966

Ma Natalia ha all’attivo una ricca produzione di saggi che esplorano il suo rapporto con la letteratura e la sua visione del mondo. Un esempio curioso, poco conosciuto, è Vita immaginaria, una raccolta di articoli pubblicati su La Stampa e Il Corriere della sera tra il 1969 e il 1974. Il volume, pubblicato per Mondadori nel 1974, contiene anche uno scritto inedito, quello che dà il nome alla raccolta, dove Natalia esplora il significato dell’immaginazione confrontandone la diversa funzione che assume durante l’età dell’infanzia e la vita adulta. Ma nei suoi articoli spazia da argomenti legati alla contemporaneità, il boom di automobili e la trasformazione di città come Torino e Roma, la condizione femminile, i rapporti generazionali, alla letteratura (in un bellissimo articolo del ’72 parla della nuova collana Einaudi «Tantibambini», una collana diretta da Bruno Munari e dedicata, per l’appunto, all’infanzia) e alla cultura in generale, fino ad arrivare a una vera e propria dichiarazione d’amore per il cinema di Bergman.

Non amo affatto il tempo in cui mi è toccato vivere. Non so se ne avrei preferito un altro perché il saperlo è impossibile. Quello che so è che questo tempo lo trovo detestabile e lo detesto. Non lo giudico: lo detesto. Mi è successo però qualche volta di pensare che esistono in questo tempo alcune cose che mi sono essenziali e preziose e alle quali non vorrei rinunciare per nessuna ragione al mondo. Metto fra queste cose: le poesie di Sandro Penna; i libri di Elsa Morante; i film di Ingmar Bergman.

In questi articoli potrebbe sembrare che la Ginzburg scriva in modo infantile e che a volte la sua visione del mondo sia un po’ ingenua. Nulla di più sbagliato. Il fatto è che qui scrive, per dirla nelle parole di Cesare Garboli, con una intelligenza articolata e organizzata razionalmente, srotolando con pazienza quelle che dovevano essere intricate elucubrazioni sulla società contemporanea e sul mondo che la circondava.

Anche Natalia Ginzburg, dunque, non ha nulla da invidiare ai suoi colleghi all’Einaudi: romanziera, redattrice, traduttrice, drammaturga. Nonostante la poliedricità, non tradisce mai il suo sguardo sulla natura delle cose. Colpisce sempre nel segno con il suo stile scarno, tanto caro ai suoi lettori.


Per la tappa di maggio di #EinaudiTO l’autore scelto è Ernesto Ferrero. Scrittore Premio Strega, traduttore del Viaggio al termine della notte di Céline, è stato per anni il direttore del Salone Internazionale del Libro di Torino. Come al solito nei prossimi giorni su Instagram e Facebook vi daremo i nostri consigli di lettura.

-Davide & Marco

2 pensieri su “#EinaudiTO: Natalia Ginzburg, da Lessico famigliare a Vita immaginaria

  1. Pingback: Torino magica: intervista a Vittorio Del Tufo – – Radical Ging –

  2. Pingback: #EinaudiTO: Lalla Romano, il Premio Strega e le parole leggere – – Radical Ging –

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.