Un piccolo buio: a casa di Massimo Coppola

Il nome di Massimo Coppola non è nuovo nel mondo culturale italiano: regista, sceneggiatore, editore, una persona poliedrica che, come spesso accade nell’ambiente, si porta dietro giudizi, positivi o negativi che siano, che non fanno altro che accrescere la curiosità riguardo le sue opere. Ed è proprio questa curiosità nei confronti dell’autore di Un piccolo buio, edito Bompiani, che ci ha spinto a leggere il suo romanzo. Grazie all’aiuto di Bompiani, abbiamo poi potuto fare una chiacchierata informale, non come le solite presentazioni, proprio con Massimo Coppola nel comfort del suo appartamento milanese.

Coppola, famoso per essere stato editore di ISBN edizioni, che figurava nel suo catalogo titoli come Ready Player OneIl mondo deve sapere di Michela Murgia oppure alcune opere di Omar Di Monopoli,  si cimenta quindi con il suo primo romanzo, e da persona poliedrica per interessi e per media qual è, non si esime anche in questo caso dal giocare con lo strumento romanzo.

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Il perno centrale della vicenda a prima vista potrebbe sembrare il Palazzo Vittoria, inaugurato a Milano nel 1936 (palazzo in cui Coppola ha vissuto), con le storie dei suoi abitanti, in una specie di High Rise alla Ballard maniera,  caratteristica che nell’ultimo periodo interessa moltissimi autori. Parlare di un macro-universo attraverso l’analisi dell’universo minimo, l’abitazione. Effettivamente la storia parte proprio dal giorno di inaugurazione del palazzo per mano di un generale fascista intento a scaldare la folla per prepararla all’intervento “a sorpresa” del Duce. La scena è filtrata dagli occhi e dalla lente della cinepresa di Michele, di cui mai sapremo il cognome, che è destinato a diventare un Maestro del cinema, un misto tra Fellini e Antonioni. La storia di Michele si incrocia con quella di Vera, donna che segnerà per sempre la sua esistenza e le sue opere.

A partire dal 1936 (che doveva essere il titolo originale, come segnalato anche su alcuni articoli online che anticipavano l’uscita del romanzo), si muovono diversi personaggi su epoche diverse, ritratto della società italiana pre- e post-bellica. Il lettore attraversa gli anni del Boom, delle rivoluzioni sessuali fino ad arrivare ai giorni nostri e ad aprire una piccola finestra sul futuro più prossimo.

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La scena iniziale di 8 1/2 di Fellini, ricorda le atmosfere oniriche delle visioni di Michele.

Con fare post moderno, ma nemmeno troppo, Massimo Coppola divide il romanzo in capitoli che raccontano la vicenda di questo o quel personaggio tramite la sua voce. Un insieme quindi di racconti, di testimonianze più o meno affidabili, che aiutano a ricostruire le storie di Michele, Vera, Leda, Carlo e degli altri condòmini. Tra citazionismo cinematografico, come la scena tratta da La cena di Antonioni oppure i punti esclamativi pronti a piovere dal cielo e uccidere il Duce nell’immaginazione di Michele, e un’atmosfera che ricorda le immagini oniriche che aprono 8 1/2 di Fellini,  il romanzo si presenta come un’opera pop e solida.

Coppola ha parlato della sua scrittura, mostrandoci con orgoglio una scaletta scritta su un rotolo di carta Ikea (e con matite ikea, vista la scatola piena che aveva nel tavolino in soggiorno) su cui erano appuntati tutti i personaggi, gli eventi e le date del romanzo. Il collante tra le parti non è semplicemente la rete di relazioni sociali che coinvolge i vari personaggi, ma sono la paura, l’amore e il desiderio, che spingono queste donne e questi uomini a muoversi nel tempo (attraverso i ricordi, i rimorsi, le paure) e nello spazio per ritrovarsi o per avere una conferma della loro stessa esistenza.

Un punto centrale del romanzo è proprio l’esistenza fisica, la dimensione dello spazio occupata dalle cose e il legame affettivo che ognuno di noi dà a esse. Se infatti appaiono oggetti molto importanti nel romanzo, come l’orologio che non segna il tempo, le lancette blu, la Opel Kadet 1300, la macchia di sangue sul mosaico nell’atrio di Palazzo Vittoria, e Palazzo Vittoria stesso, ci sono altrettanti gesti immateriali che permangono nel tempo e che difficilmente vengono dimenticati.

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In every dream house a heartache è la canzone citata nell’esergo del romanzo.

Questo Coppola lo porta all’estremo nell’ultima parte del romanzo; in un futuro non troppo lontano viene attuato Il Piano, ovvero la digitalizzazione delle opere più importanti dell’umanità, come le Piramidi e il Palazzo Vittoria, che verranno salvate in un gigantesco Hard Drive e salvate sulla luna, dove una copia sarà sempre disponibile. Ed è qui che si chiude il cerchio della narrazione, in un ciclo perfetto. Una sorta di reset che non può avvenire se prima non si guarda al proprio passato.

Si è anche, giustamente, paragonato Un piccolo Buio a Here di Richard McGuire. Il graphic novel silente e concettuale taglia  lo spazio come Fontana, ma taglia anche il tempo, aprendo finestre sul futuro e sul passato, nel contesto di un piccolo ambiente.

Ed è proprio questa l’essenza di Un piccolo buio, raccontare una storia attraverso varie storie. Per quanto ci si sforzi, non esiste un solo sguardo che possa illuminare il tutto. C’è sempre un angolo scoperto nella coda dell’occhio che insinua curiosità, un piccolo buio dove forse si nasconde una verità.

-Marco & Davide

2 pensieri su “Un piccolo buio: a casa di Massimo Coppola

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