Come avrete ormai capito, quando si tratta di libri ci piace diversificare, in parte per questioni di gusto personale in parte per cambiare un po’ punto di vista. Così, quando ci è stato proposto di leggere Luce rubata al giorno, esordio letterario di Emanuele Altissimo, abbiamo accettato subito con grande entusiasmo e con entusiasmo ancora maggiore abbiamo poi accettato l’invito di venire in redazione da Bompiani per parlare con l’autore.
La storia è quella di due fratelli, Diego e Olmo, che serbano in loro una storia famigliare difficile e dolorosa. Attraverso la narrazione in prima persona del piccolo Olmo il lettore viene a conoscenza degli eventi di un’estate in montagna che cambieranno per sempre il destino dei due fratelli e del nonno Aime, unico famigliare che è loro rimasto. Quali sono i tormenti che annebbiano la mente di Diego, desideroso di entrare in Accademia militare? Olmo riuscirà a tenere unita la famiglia? E questa riuscirà ad assorbire l’impatto di certe ferite mai rimarginate?
Benché possa venire la tentazione di fare paragoni con altri libri di “montagna” pubblicati recentemente e che sembrano spopolare tra i lettori, Luce rubata al giorno è, prima di tutto, un’opera che si prefigge di raccontare emozioni e, come dice lo stesso autore, sebbene sia impensabile che la vicenda si svolga in un contesto diverso da quello della montagna, questa non ruba spazio alla vicenda o ai personaggi ma si amalgama perfettamente con essi.
Una parentesi interessante va aperta anche sul titolo. Quello attuale non era la prima scelta dell’autore. Il titolo proposto alla casa editrice si trattava di Giganti, elaborato durante il periodo alla Scuola Holden. Il riferimento diretto è al carisma dei personaggi di questa storia, capaci di fronteggiare il dolore senza grosse scuse, a fronte alta. Il titolo definitivo è invece legato al senso profondo del romanzo, catalizzato da un oggetto, un piccolo magnete luminoso a forma di Tour Eiffel. La promessa della luce del perdono nel buio del dolore. Okay, niente più spoiler, promesso.
Abbiamo detto che il romanzo è scritto in prima persona, e non una prima persona qualsiasi. Il punto di vista è quello di Olmo, un bambino che vede scosse le fondamenta della sua famiglia e che fa di tutto per ridurre l’impatto della catastrofe imminente. Si tratta di una voce dotata di grande forza, capace di generare un punto di vista parziale in grado di aiutare il lettore a immedesimarsi maggiormente nel personaggio. A proposito di carisma.
Chiacchierando con l’autore abbiamo scoperto che il punto di partenza della storia, l’idea da cui è nato il libro, è uno degli incidenti aerei più bizzarri che si possano ricordare. Il 28 luglio del 1945, a New York, un aereo militare si schiantò contro l’Empire State Building. L’incidente, che sarebbe potuto essere un disastro di dimensioni immani, comportò “soltanto” la morte di tredici persone perché il famoso grattacielo riuscì a resistere al colpo e ad assorbire l’impatto senza che la struttura portante cedesse minimamente. Al fianco di questo piano narrativo che affonda le sue radici nella storia, si dipanano altri due piani narrativi. Uno è quello legato alla passione di Olmo, inserita a posteriori in fase di editing nel romanzo, la costruzione di modellini, non quelli Lego ma più quelli che si potevano trovare un tempo al fu Centro Gioco Educativo (per chi è di Torino). Olmo trascorre l’estate nel tentativo di costruire un modellino dell’Empire State Building, con la speranza che il fratello lo aiuti nell’impresa, anche solo ponendo qualche mattoncino. L’altro piano narrativo è quello della storia famigliare che come l’Empire State Building, come il modellino, si troverà soggetta a forze esterne di natura disastrosa che ne testeranno la capacità di assorbire colpi.
Lo stile, il registro e la sintassi dell’autore sono impeccabili. E non solo. Emanuele è in grado, con l’utilizzo di una scrittura semplice e asciutta che non punta ai pietismi letterari, di raccontare una storia di grande dolore, di fronte alla quale difficilmente si resta impassibili, e non solo per le vicende narrate.
Un altro elemento modificato in fase di editing è la questione personaggi femminili. Nella bozza originaria questi erano pressoché assenti, oppure portatori di valori non propriamente positivi. Per questo si è sentita la necessità di inserire un personaggio diverso, con una statura morale diversa. La cosa straordinaria è che questo personaggio già era nascosto nelle pieghe del romanzo e l’autore non ha dovuto far altro che definirne maggiormente la voce. Si tratta di Nives, una ragazza che diventerà un elemento chiave della vicenda, oltre a rappresentare la razionalità che cerca di tenere ancorato al terreno Diego.
Si è anche parlato molto di esordi e della difficoltà di spiccare nella massa di manoscritti formalmente corretti e dalla prosa pulita che spesso arrivano in casa editrice. In questo caso la scrittura concreta dell’autore rappresenta sicuramente un punto centrale per la buona riuscita del romanzo, anche se il discorso è talmente complesso che se ne potrebbero scrivere saggi interi.
Leggere Luce rubata al giorno significa domandarsi fino a che punto è lecito lottare per tenere insieme una famiglia che reca in sé un dolore troppo grande, un dolore che a volte è difficile da affrontare. È come accendere una candela in un periodo di grande sofferenza, forse non risolve tutti i problemi del mondo ma non ti ferisce gli occhi e ti aiuta comunque a vedere le sfumature.
-Davide e Marco
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