Fate fuori il vostro capo: LICENZIATEVI!

Nel 2016 mi sentivo realizzato. Vivevo a Londra ormai da quasi 3 anni, avevo un bel posto di lavoro, grandi possibilità di carriera, forse uno stipendio più che dignitoso, sembrava non mancarmi nulla. Potevo permettermi qualche sfizio, certo non molti, ma tutto sommato non avevo da lamentarmi.

E invece mi sbagliavo in toto.

Il mio lavoro imponeva dei ritmi serrati, la giornata non era scandita in ore o mezz’ore, ma in quarti d’ora. Ogni quindici minuti c’era un’emergenza, un compito, qualcosa da sbrigare, ma non solo. Oltre alle incombenze del presente, c’era sempre da pianificare, per i 15 minuti successivi, per le ore a venire, per i giorni futuri, i mesi oltre l’orizzonte, gli anni lontani. Un meccanismo del genere che spinge l’essere umano a puro ingranaggio nella macchina dello sviluppo a tutti i costi può portare a una cosa soltanto, o forse a due. Una di queste è il burn out, l’uscirne matto, perdere le forze. L’altra è l’epifania, capire che tutto questo correre intorno, cercare di essere sempre più veloci, sempre più produttivi, guadagnare non tanto per spendere, ma per essere, è forse tutta una grande menzogna. Penso che di entrambe abbia preso qualche elemento, e l’abbia fatto mio, in un modo o nell’altro.

Mi sono licenziato, e con la consegna di quella lettera ho buttato alle ortiche tutto quello che mi hanno sempre detto di dover perseguire (una buona carriera, il posto fisso, una posizione insomma) per tornare in Italia e iscrivermi all’università. Un po’ come ha fatto Vivian Abenshushan, autrice di Fate fuori il vostro capo: licenziatevi!

Vivian è stata per lungo tempo caporedattrice per una rivista, fino al compimento dei suoi 33 anni, quando decise di licenziarsi, di lasciare il suo lavoro e la carriera futura per dedicarsi totalmente alla scrittura, senza deadline (più o meno), alla ricerca di uno stile di vita più sostenibile. Fonda quindi una sua casa editrice, la Tumbona (un tipo di sedia sdraio, nomen omen) Ediciones, che occupa il tempo che lei ha deciso di dedicare al lavoro, che lavoro più non è, ma è passione.

Questi scritti, pubblicati da Eris nella collana pamphlet, non sono il tipico urlo anti-capitalista, anti-globalizzazione, un po’ sconclusionato e fine a se stesso, ma sono una chiara analisi della situazione dell’uomo moderno, non più Homo Ludens, come viene definito nella parte chiamata Genealogia dell’ozio, ma essere addetto al lavoro e alla fatica. L’uomo, dall’alba dei tempi, sembra aver perso la cognizione dell’otium come ricchezza personale e non perdita di tempo, come pausa di riflessione del proprio io e del proprio ambiente, piuttosto additando chi si concede queste pause come un parassita, un moribondo, un lavativo che non vuole faticare, proprio perché ormai il motto sulla bocca di tutti, subito dopo il tempo è denaro, è lavoro ergo sum.

Questo Vivian lo ha notato durante i suoi anni di gavetta nel mondo editoriale: si era resa conto di come la letteratura e il mondo umanistico fossero sempre di più spinti verso il dimenticatoio, perché figli di un modo di essere ormai troppo lontano dalla realtà. Se per pensare, riflettere, confutare e scrivere ci vuole tempo, troppo tempo, al giornio d’oggi questo non può essere concesso.

La libreria come punto vendita; l’autore come marchio registrato; l’editore come product manager. Ecco un esempio di un linguaggio che agonizza per far spazio a un altro e con esso agonizza una visione della scrittura e del libro così come li avevamo conosciuti sino a ora. siamo di fronte all’avvento di una letteratura del libero mercato, la letteratura della sopravvivenza, il cui imperativo è essere competitiva o scomparire

Non c’è spazio per il pensiero, c’è solo la vaga idea del tempo libero come compensazione, come illusione: quante volte non abbiamo fatto altro che aspettare la fine della settimana lavorativa, o le ferie, per poi renderci conto che con quel tempo libero non sappiamo che farcene, o peggio, scalpitiamo perché non ci sentiamo noi stessi, non abituati alla pressione, allo stress, alla velocità che ci attrae, ma che ci porta a un passo dalla morte (figurata e non).

In una veste da saggio sull’ozio, ma con un linguaggio colloquiale e lontano dagli arzigogoli accademici, con numerose citazioni dal mondo latino, Cicerone e Seneca per esempio, e da tanti altri grandi nomi della filosofia, occidentale e non, questo tomo ha un grande potere che dovrebbe esser portato all’ennesima potenza. Prima di tutto, ha la capacità di scardinare l’idea che per permettersi qualcosa di bello, in questo mondo o nell’altro, non c’è per forza bisogno di spaccarsi la schiena e perdere la propria identità, ma ha anche il potere di far passare il messaggio che tutto questo possa essere possibile, se solo ci rendessimo conto di come questa gabbia, impostaci dal sistema, da noi stessi, dalle aspettative e dai desideri (che spesso servono a riempire quel vuoto che non ci riusciamo a spiegare) sia soltanto una convenzione che si può liberamente superare, lasciare da parte, e combattere in molteplici modi: leggere, dormire, cucinare, mangiare, perdere tempo. Sarà poi tempo perso?

Fate fuori il vostro capo: licenziatevi, è edito Eris Edizioni, scritto da Vivian Abenshushan e tradotto da Francesca Bianchi. Questo articolo sarebbe dovuto uscire molto prima, ma ci son state troppe belle giornate da vivere.

-Marco

9 pensieri su “Fate fuori il vostro capo: LICENZIATEVI!

  1. misschorri

    Trovo che sia un tema estremamente interessante e di grandissima attualità. Ne parlo con cognizione di causa, lavoro da anni in una grande multinazionale, so cosa vuol dire avere la giornate, le settimane e i mesi programmati da attività ripetitive e frenetiche, sempre al limite dell’isteria e del burnout. In questi casi il quotidiano diventa un’ emorragia di vita. Purtroppo intraprendere strade alternative non è semplice. La situazione italiana economica sicuramente non giova, all’estero, ad esempio negli Stati Uniti, il mercato del lavoro è molto più flessibile e si esce e si entra in questo mercato con più facilità, anche a fronte di periodi di pausa più o meno lunghi. In Italia non è così facile, per quanto sono dell’idea che sia sempre possibile crearsi delle alternative valide. Anzi è un dovere cercarsi nuove situazioni che rispecchino sempre di più i nostri valori e le nostre aspettative di vita.

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    1. Marco Amici

      Esattamente! Il diventare capi di se stessi a volte può essere la soluzione, ma anche la vita del freelance porta spesso ad avere molte e molte responsabilità e grane, tanto da far rimpiangere l’essere dei semplici dipendenti. Sicuramente una via di mezzo c’è, bisogna solo capire quale, e fare proselitismo per diffonderla. Stare un po’ meglio tutti per stare tutti meglio.

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  2. Vero, il tempo che definiamo “perso”, perchè così ci viene suggerito dalla nostra etica morale, spesso non lo è, anzi: forse quello che ci manca è proprio prenderci il tempo per studiare, ascoltare e imparare. Ci sono troppa fretta e troppe gabbie al giorno d’oggi, e spesso siamo noi stessi ad auto-sabotarci. Deve essere un libro sicuramente interessante!

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  3. Mi hai incuriosito molto e il tema mi è molto caro, perchè anche io come te mi sono licenziata diverse volte in passato non appena mi sono resa conto che il lavoro mi stava inglobando e sfinendo psicologicamente. Non sono arrivata alla soluzione finale, sogno di diventare freelance al 100% (cosa che va comunque affrontata con raziocinio). E sono molto d’accordo con quello che dici nel commento sopra: a volte i mezzi che abbiamo sono già sufficienti, ma rimanendo dietro a un meccanismo che ci spinge ad accumulare sempre di più, per poi spendere, non ce ne rendiamo conto.

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  4. Ho letto questo libro nel 2015, quando guarda un po’ mi licenziai per iscrivermi a un Master. È bello leggere tutti questi commenti in cui sogniamo di trovare il lavoro che ci permetta di vivere davvero, rincorrere anche quello che non è solo il denaro che ci fa campare. È vero, alcune scelte coraggiose è possibile affrontarle solo con le spalle coperte eppure mi chiedo se forse vivere, vivere davvero, non sia continuare a darci l’opportunità di stare bene, avendo il coraggio di abbandonare quelle situazioni che ci stanno strette. Grazie per avermi ricordato questa lettura. 🙂

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